L’omeopatia e il principio di responsabilità

di Andrea Dei e Simonetta bernardini, da “Omeopatia33” dell’8 settembre 2023

La tomba di Samuel Hahnemann è al Père Lachaise a Parigi ed è sempre piena di fiori, quasi come quelle di Jim Morrison e Fryderyk Chopin. E’ il doveroso e affettuoso tributo di ringraziamento di tanta gente che tutt’oggi lenisce la propria sofferenza grazie all’opera di questo grand’uomo. In un mondo nel quale giganti del pensiero quali Kant e Hegel criticavano con violenza l’inadeguatezza e l’insostenibilità del pensiero medico di allora, Hahnemann, postulando l’esistenza di una energia vitale immateriale che controllasse l’equilibrio dell’organismo vivente, fondò quella metodologia terapeutica che lui definì “omeopatia”, basandola su tre principi: principio di similitudine rifacendosi a Ippocrate, principio delle diluizioni infinitesimali o dinamizzazione. Tali principi sono validi anche oggi se si assumono come metodi operazionali, e in linea di principio non c’è nessun male se i medici, che hanno adottato l’omeopatia come metodologia terapeutica, continuano a seguirli alla lettera. Poco più in là si trova la tomba di Claude Bernard, che è il padre riconosciuto della medicina sperimentale, quella che oggi si suole definire come biomedicina. L’opera di Bernard si sviluppò mezzo secolo dopo l’omeopatia e brillò per numerose acute intuizioni, la più grande delle quali è costituita dal concetto di “milieu interieur” (cioè l’omeostasi), che è una delle basi della medicina moderna, identificando in essa l’energia immateriale di stampo vitalistico della rinascimentale Accademia Platonica di Marsilio Ficino, più tardi ripresa e postulata da Hahnemann.
Da allora la medicina si è evoluta dando origine alla disciplina attuale e ha contribuito in maniera determinante a una rivoluzione della vita della specie umana, anche se, come avviene in ogni processo evolutivo, non è stata esente da errori e infortuni ideologici. Resta il fatto che tutti i medici di oggi, che sono i soli a poter esercitare anamnesi, diagnosi e prognosi secondo le leggi del mondo occidentale, devono la loro formazione alla biomedicina, anche se hanno deciso in seguito di arricchire la loro capacità di curare seguendo la medicina omeopatica. Così facendo postulano il principio fondamentale che la Medicina è Una e Una Sola, come corollario implicito del giuramento di Ippocrate. Questo è stato il fondamento sul quale è stata fondata la SIOMI, fondamento perseguito con coscienza e serietà, rifuggendo dall’adottare teorie fantasiose e deprimenti che purtroppo nel campo dell’omeopatia sono ricorrenti come in un festival dell’aberrazione, al di là del fatto che vengono formulate da nobili personaggetti che se ne fregano di portare detrimento all’intera comunità dei colleghi.
Il punto chiave è se la metodologia hahnemanniana possa costituire uno stadio di partenza per l’evoluzione della medicina moderna oppure debba rimanere un qualcosa di perfetto non modificabile, tal quale un solido platoniano. La SIOMI statutariamente ha adottato la prima alternativa, ma la gran parte del mondo dell’omeopatia è di parere opposto. Lo dimostrano le affermazioni della maggioranza dei membri dell’ECH, organizzazione europea, che terrà il suo congresso nel prossimo ottobre, al quale purtroppo per gravi motivi di salute noi non potremo partecipare. Il mondo omeopatico attuale tende a rifiutare qualsiasi forma di evoluzione, probabilmente perché teme di perdere la propria assoluta libertà di uccel di bosco e di essere impastoiato da quella serie di linee guida, che caratterizzano la biomedicina. In questo è supportato dalla visione miope delle industrie farmaceutiche, che temono la regolamentazione imposta dalle varie agenzie del farmaco. Lo dimostra lo sviluppo dell’ormesi da postcondizionamento, che è essenzialmente una evoluzione dell’omeopatia mirata a prevenire l’invecchiamento e a controllare i danni dovuti ai fattori ambientali. Tale disciplina, che non è altro che omeopatia e che si sviluppa senza il contributo degli omeopati, ha il difetto capitale di fondarsi sui dati sperimentali, cosa di principio gradita come il fumo negli occhi alla maggioranza degli omeopati attuali e di chi li supporta.
Questo è uno dei tanti esempi che potremmo indicare, dal momento che una parte dell’accademia sta posando l’attenzione sugli effetti delle microdosi di xenobiotici. Ma questi sviluppi è meglio ignorarli per motivi di immodestia e desiderata carenza di prospettive, sentendosi araldi di una medicina dai fondamenti liquidi. Perché sembra che il mondo dell’omeopatia, come dimostrato dagli interventi di gran parte dei membri dell’ECH, sia diventato uno dei pascoli preferiti dei postmodernisti in senso di Lyotard o Vattimo, i cui principi si riassumono nel rifiuto di macro-saperi legittimanti, non avendo nessuna fiducia dell’esistenza di fondamenti della conoscenza, nel rifiuto di identificare l’agire del medico con l’evidenza scientifica e soprattutto nel rifiuto del paradigma dell’unità privilegiando l’esaltazione della molteplicità. Il che è appunto proprio l’opposto dei principi sui quali è stata fondata e ha agito la SIOMI per ventiquattro anni, adottando il principio di responsabilità. Per di più è difficile capire quale futuro possa avere la disciplina, dal momento che i giovani medici, cresciuti con una cultura troppo diversa da quella ormai obsoleta degli attempati postmodernisti soprammenzionati, si guardano bene dall’esserne attratti.

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