di Andrea Dei, su “Omeopatia33” del 27 novembre 2008
Ho già avuto modo di esprimere sulle pagine di questo giornale online e altrove il mio profondo dissenso sull’ipotesi della memoria dell’acqua, sia essa intesa come memoria configurazionale, sia come dominio di coerenza. Entrambe le ipotesi si scontrano pesantemente con tutti i dati sperimentali che siamo in grado di raccogliere in laboratorio e che possiamo interpretare in maniera consistente. Questo non significa che una tale ipotesi non debba essere usata a livello operazionale, come fanno per esempio gli omeopati con i loro farmaci ultradiluiti. Sostengo soltanto che bisogna astenersi dal formulare trionfalisticamente ipotesi tentative, se non di pura fantasia, su fenomeni la cui interpretazione presenta un’anomalia ed è in apparente contraddizione con le pretese aspettative.
Sostengo altresì che l’adottare tale comportamento è altamente consigliabile per coloro che, come guarda caso i seguaci delle medicine complementari, si ritrovano a combattere periodicamente battaglie che mettono in discussione la serietà dei loro tenets culturali. Il motivo di tutto questo è semplice. Coloro che avanzano cotali ipotesi, eufemisticamente poco probabili, sono persone che molto spesso non hanno nulla da perdere a parte la loro personale credibilità scientifica. Non a caso sono quasi sempre anziani e alla fine della loro carriera. Il cercare il colpo grosso che li renda famosi può essere giudicato un rischio ragionevole. Al più si può vincere il premio IG Nobel (leggi “ignobel”) per la formulazione della teoria più assurda e sconclusionata dell’anno in una certa disciplina. Benveniste ne ha vinti due, se ben ricordo, nel 1991 e nel 1998. Ma supportare entusiasticamente tali ipotesi da parte dei non addetti ai lavori, tal quali sono i medici, è una stupida vocazione al suicidio ed è infinitamente peggio da un punto di vista sia etico che deontologico.
Io non sono un medico, ma sono profondamente convinto che la medicina attuale, sia essa ortodossa che complementare, abbia un senso se interpretata nella sua essenza di protomedicina. Non sarà un procariota, ma non va molto più in là di un eucariota nella scala evolutiva del sapere umano. Il futuro è la simbiosi dei diversi saperi medici, o almeno io auspico che questo sia il kick-off dell’immediato futuro. Ma non giova certo al processo di simbiosi l’adoprarsi ad attrarre la derisione, lo scherno, il vituperio o l’ingiuria. Chi lo fa o non vuole questa simbiosi, o non si rende conto irresponsabilmente di recare danno promuovendo l’emarginazione, oltre che di se stessi, di una intera classe di colleghi, ridicolizzando nel contempo la loro dignità professionale e culturale. Tertium non datur.
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