Per una Medicina Integrata, argomenti e postulati

di Ivan Cavicchi, su HIMed di novembre 2011

Un manifesto

Se qualcosa si può “toccare” (fest) con la mano (manus), allora qualcosa è “manifesto”. Un “manifesto” dichiara pubblicamente il “manifesto”.

Il manifesto

Ciò che appare “manifesto”nella storia della medicina è una traiettoria di aggettivi che riguarda una relazione tra medicine diverse a causa di:
particolari fenomeni storici, culturali, scientifici;

  • diverse visioni del mondo;
  • differenti teoresi di fondo;
  • differenti pratiche di cura, di metodi;
  • altri concetti di verità, di natura, di persona;
  • altri contesti culturali.

Gli aggettivi della relazione

Una medicina x (d’ora in avanti Mx) è ritenuta eretica, alternativa, complementare, integrabile non in quanto tale, ma perché diversa rispetto ad un’altra medicina y, (d’ora in avanti My) che funziona come termine di paragone e che la giudica. Se gli aggettivi “aggiungono” ai nomi, cui si riferiscono, una qualità, attribuendo e predicando delle caratteristiche, allora “eretica, alternativa, complementare, integrabile” sono qualità che appartengono alla relazione tra Mx e My.

Gli aggettivi della differenza

Se diversamente gli aggettivi rispettivamente di Mx e di My, dovessero dare conto solo delle differenze, quindi di due insiemi distinti di caratteristiche, allora si dovrebbe dire: “Gli aggettivi di Mx sono… Gli aggettivi di My sono…”. Si avrebbero così due classi di aggettivi confrontabili che nel loro insieme esprimono attributi di merito, determinazioni, caratteristiche specifiche, modalità, filosofie, teorie terapeutiche, cioè di modi diversi di concepire la medicina.

Pregiudizi

In ragione di due diverse classi di aggettivi si potrebbe legittimamente dire:

  • che una medicina è prevalentemente relazionale, biologica, personalistica, ecologica e antroposofica, etc.
  • che un’altra medicina è prevalentemente irrelata, biologica, sostanzialistica, laboratoristica etc.

Ma in nessuna caso si potrà sostenere da parte di My che Mx è automaticamente eretica, alternativa, complementare, integrabile. Se ciò fosse avremmo un pregiudizio, una violazione dei principi di verità, una falsificazione delle cose, una mistificazione.

Problemi di definizione

Vi sono due modi logici di definire qualsiasi cosa: riferirsi ad un significato prevalente ed essenziale, come ad esempio nel caso della medicina, quello biologico, o quello psicologico, o ancora quello relazionale, ambientale; riferirsi al contrario ad una molteplicità di significati di importanza equivalente, tra loro confrontabili. Il primo propone una “definizione chiusa”, il secondo una “definizione aperta”.

Aprire le definizioni per integrare gli aggettivi

Pensare possibile una “medicina integrata” significa pensare possibile aprire delle definizioni in qualche modo chiuse. Una medicina integrata non può che essere una definizione aperta di medicina.
Il ragionamento da fare è semplice: la definizione chiusa è sempre orientata ad una variabile prevalente o essenziale, (x), per cui il termine “medicina” sarà usato come (x) o come (y); se (x) è la biologia la medicina sarà intesa prevalentemente come biologia; se (y) è la relazione essa sarà concepita essenzialmente come relazionale, etc; la definizione aperta è invece orientata a più variabili (x, y, z, etc.), in questo caso il termine medicina sarà usato “come xyz…”. Una medicina integrata necessariamente si dovrà definire “come xyz…”.

Argomenti della definizione

Le variabili x, y, z, che definiscono una probabile “medicina integrata”, si chiamano “argomenti”: integrare gli argomenti di Mx e di My, cambia la definizione generica di medicina in “medicina integrata”, quindi la medicina integrata cambia il significato del termine medicina.
Che cosa è realisticamente la medicina integrata? E’ la ridefinizione di diversi argomenti relativi a diverse medicine. Quale è il suo grado di realismo? La sua capacità attraverso gli argomenti di rappresentare la realtà in tutta la sua complessità. La convenienza per un malato è quella di avere una medicina capace di rappresentare al massimo la sua complessità.

Le convenienze degli “esigenti”

Per le persone che hanno bisogno di cure, gli esigenti, è importante e rilevante solo ciò che è più conveniente per loro. Ciò che è più conveniente è ciò che è meglio e più adeguato alle loro situazioni, alle loro contingenze, ai loro contesti sociali. Una medicina integrata deve per forza essere una medicina più conveniente. Conveniente in questo caso vuol dire un sacco di aggettivi: relazionale, biologica, personalistica, sostanzialistica, laboratoristica, efficace, appropriata, sperimentata ecc. Tutti gli aggettivi utili, efficaci, buoni, che funzionano fanno parte di un unico insieme di proprietà. Si tratta di capire come organizzare tale insieme di proprietà. Non esiste solo un modo per fare una medicina conveniente. Come ricomporre aggettivi separati, divisi, contrapposti, è un problema aperto da affrontare.

Oltre le medicine “asintotiche”

“Asintotico” in questo caso riguarda teorie e pratiche mediche che, per tante ragioni storiche ma non solo, si sono divise e differenziate, ma che oggi tendono ad avvicinarsi sempre di più a “qualche cosa” ma senza raggiungerlo mai. Le medicine “asintotiche” “non si incontrano” se restano chiuse nella loro teoria, nei loro schemi, nelle loro ortodossie, nelle loro razionalità e nelle loro dottrine.

Le medicine “si incontrano” se al contrario si aprono realisticamente e ragionevolmente alle convenienze concrete degli esigenti. Per l’esigente, per questa società post-moderna, per migliaia di migliaia di medici, non esistono medicine asintotiche, ma esistono medicine che dovrebbero tendere “all’ in-contro” cioè teorie che si pongono (“in”) come se fossero tra loro “dirimpetto” (“contra”), in attesa che il bisogno del malato le interroghi, proprio come si interroga una cassetta degli attrezzi. Il malato è quel “qualcosa” verso il quale le teorie mediche devono necessariamente tendere accettando che tra loro vi siano delle reciproche ausiliarietà.
Oggi Il malato ri-unisce, in-tegra, ri-compone, ri-congiunge, ri-collega. Egli proprio come con un libro spaginato ri-lega nel suo primario interesse per la sua primaria convenienza, medicine storicamente s-legate.

Ri-legare in un genere comune

Per ri-legare è necessario comprendere le logiche di ciò che è slegato, cioè su cosa e perché le medicine si sono divise. La divisione è l’operazione per mezzo della quale si estende un concetto semplicemente segmentandolo in tante parti.

La divisione della nozione unica di medicina ha slegato tale nozione in tante nozioni diverse: Mx, My… M è il genere “medicina”, ”Mx”, ”My”, etc., le specie. Oggi questa dis-integrazione è messa in discussione da tanti fattori: sociali, etici, culturali, antropologici, economici, etc. Nessuna medicina integrata sarà veramente tale se non troverà il modo di ascrivere le tante specie s-legate di medicina almeno ad un genere comune.

Divisibilità e complessità

Oggi la divisibilità della medicina in medicine diverse e anche in specializzazioni diverse, contraddice la complessità del malato. L’antinomia che bisogna rimuovere se si vuole fare un discorso di ri-legatura è tra divisibilità e complessità. Nel momento in cui tutto è diviso e il diviso diventa un problema, come per magia tutto deve essere integrato. Ma ciò che nasce e si sviluppa come diviso non è facile da ricomporre. Tuttavia la complessità del malato esiste davvero, ed è innegabile, ma come fare? Oggi la divisione delle medicine pur riconducibili ad un comune genere di medicina è un ostacolo alla comprensione della complessità del malato. Ma come rendere possibile praticamente non tanto la coesistenza delle medicine in un unico genere, perché questo è già nello stato delle cose, ma la loro collaborazione e il loro uso integrato e scambievole nella realtà?

Insieme

Oggi la nozione generale di medicina M può essere raffigurata come un insieme di diverse medicine, Mx, My, Mz… Dobbiamo rafforzare questa situazione insiemistica, per esempio accorciando le distanze tra le diverse visioni teoretiche, oppure dobbiamo puntare ad un processo il cui esito finale sia il superamento della situazione insiemistica e quindi un’altra visione teoretica?

Collezione di medicine o altro?

La teoria degli insiemi, definisce l’insieme, come una “collezione concepita come un tutto di oggetti determinati e fra loro ben distinti”. Questo vuol dire che una possibile integrazione potrebbe semplicemente essere concepita come una forma di unità ottenuta come somma delle parti: la medicina M è Mx + My + Mz… In questo caso però l’uso dell’espressione “medicina integrata” sarebbe inadeguata. Per ottenere risultati di integrazione, in primo luogo, non basta ricostruire degli insiemi anche se già questo sarebbe un risultato importante. Per avere qualcosa di veramente integrato/integrabile bisognerebbe non solo mettere insieme ciò che è diviso ma sostituire ciò che è diviso con un modello di medicine ri-legato.

Incollare non è integrare

Integrare medicine diverse In qualche modo pone un problema di adeguamento dei modelli. In un certo senso gli apparati concettuali delle varie medicine si dovrebbero rendere disponibili ad una ripensamento e a una ridefinizione, ciò per favorire la loro appartenenza di genere a scapito di quella di specie.

Se si incollano Mx e My, in realtà non si ottiene una “integrità”. Se si resta dentro la logica insiemistica, come ci spiega la matematica, le divisioni non sono superate. Incollare tra loro medicine diverse significa solo metterle semplicemente in una qualche classe. Per cui l’integrità in questo caso sarebbe solo apparente in quanto semplicemente somma delle parti.

Tuttavia se per medicina integrata intendiamo un processo di cambiamento lungo e difficile, non c’ è nulla di male partire da una visione di insieme (tanto per cominciare), ma sapendo che si tratta di un punto di partenza non di un punto di arrivo.

Giustapposizioni

Se concepiamo la medicina integrata come un insieme di medicine diverse allora si dovrebbero organizzare tra loro delle giustapposizioni.
Che cosa è una giustapposizione? Giustapporre, significa “porre a fianco” mettere accanto””accostare”, per indicare un “rapporto di semplice contiguità”. Se pensiamo che integrazione sia giustapposizione si deve sapere che si rischia di ribadire in forma diversa una storica divisione del lavoro della medicina, continuando ad escludere un qualsiasi tipo di interdipendenza teorica e pratica. “Giustapposizione per l’integrazione” è quindi qualcosa di ambiguo: è una distanza congrua che permette una vicinanza congrua.

Ma è anche una razionalizzazione delle divisioni esistenti accompagnata da un riconoscimento delle loro coesistenza.

Per cui se la giustapposizione tra Mx e My è un passaggio in qualche modo obbligato per iniziare un processo di integrazione ci si deve porre il problema, a un certo punto del percorso, di superare le giustapposizioni per ottenere un più alto grado di interdipendenza interna. Ma integrare per giustapposizioni cosa significa? E’ un problema di compatibilità o altro?

Compatibilità

E’ facile pensare che una medicina integrata sia possibile solo se si creano condizioni di compatibilità tra diversi apparati concettuali, tra diverse pratiche di cura.

Ma l’idea di compatibilità tra teoresi e prassi diverse, e che richiama molto il problema che i filosofi della scienza definiscono “dell‘incommensurabilità delle teorie”, ci porta verso un’idea di adattamento di corpi teorici ad altri corpi teorici, quindi verso una sorta di conformismo e di omologazione degli apparati concettuali.

Questo costituirebbe un grosso problema perché avere una medicina integrata omologando in qualche modo diverse tradizioni di cura, sarebbe una perdita di ricchezza, una perdita di possibilità, una perdita di tipi diversi di razionalità.

Compossibilità

Altra cosa è parlare di “compossibilità” tra Mx e My. Si ha compossibilità quando tra Mx e My non vi sono contraddizioni. Quindi per un’idea di medicina integrata non si tratta di rendere compatibili diverse idee di scienza ma di renderle compossibili, cioè di rimuovere le contraddizioni che le oppongono nella pratica corrente conservando le loro preziose peculiarità.

Ciò che intercorre

Una volta create alcune minimali condizioni di compossibilità tra Mx e My, si tratta di organizzare tra loro delle “relazioni”. La logica della relazione è l’opposto della logica della divisione e l’opposto delle situazioni asintotiche. La relazione per definizione è la “non-divisione”, la “non giustapposizione”. La relazione connette ed interconnette. La relazione è il ponte che unisce Mx e My. La relazione è ciò che “intercorre” o ciò che “non intercorre” tra Mx e My. Ciò che intercorre o non intercorre è sempre “relativo” a un malato.

In secondo luogo essere “relativo a…” vuol dire che organizzazione, conoscenza, rapporti professionali, compiti, funzioni, atti clinici, dipendono dalla forma della relazione con il malato. Allora quale forma dare alle relazioni tra Mx e My grazie alle quali si potrebbe avere una medicina integrata?

Corrispondenze correlate e interdipendenti

La forma più congegnale di relazione per avverare una medicina integrata quindi pensata per ri-legare Mx e My, probabilmente è quella delle corrispondenze correlate e interdipendenti: la relazione tra Mx e My, organizza ciò che intercede tra di esse quindi ciò che conta è la loro correlatività.

Ma cosa intercede tra Mx e My? Quindi quale correlatività tra di loro è possibile? Immaginando di dover integrare Mx e My, possiamo grosso modo individuare tre tipi di correlazioni interdipendenti:

  • quella di completamento, in cui una medicina, quindi o Mx, o My rispetto alle necessità di un malato si presenta in modo parziale e imperfetto, per cui bisogna aggiungere qualcosa per completarlo;
  • quella di sostituzione, in cui una medicina, Mx o My, per offrire una cura più appropriata corregge la propria organizzazione razionale;
  • quella analogica, in cui una medicina, o Mx o My, collabora con una medicina analoga rispetto all’utenza, alla tipologia di intervento, ai bisogni e alle necessità.

Prontuario

Con molta probabilità in un assetto di medicina integrata sussistono per Mx, My, problemi di completamento, di sostituzione, di analogia. Si tratta di avviare uno studio e una riflessione sulle possibile situazioni pratiche nelle quali ragionando a partire da ciò di cui ha bisogno il malato, si definiscono le soluzioni di complementarietà, di sostituzione e di analogia. Questo permetterebbe di trasferire la discussione dal piano dei principi a quello delle situazioni concrete. Ne potrebbe derivare un “prontuario di correlazioni interdipendenti” per orientare e incoraggiare i medici all’esercizio di una pratica integrata.

Relazionismo-relativismo

Alcuni fautori della medicina c.d. “scientifica” temono che il discorso sulle correlazioni interdipendenti apra la porta al relativismo. In genere costoro invocano i principi di base della scientificità, vale a dire, il principio di falsicabilità, della verificazione, del metodo, etc. Costoro in tutta buona fede sono scientisti che parlano di umanizzazione, ma sotto sotto vedono, nella relazione con il malato e nella relazione con altre tradizioni di cura, un pericolo per l’integrità della scienza. Se le correlazioni interdipendenti vogliono dire relativismo e non relazionalismo, l’integrazione dei saperi, delle conoscenze, delle pratiche, la stessa medicina integrata, sarebbero tutti attentati alla sacralità della scienza. Questo atteggiamento teorizza una certa razionalità definita come “scientifica” quale valore assoluto che in quanto tale deve stare al di sopra e al di la delle parti e rispetto al quale tutto deve sottostare. Ma una medicina integrata definita per correlazioni interdipendenti non è concepibile se entriamo nella logica delle razionalità superiori e delle razionalità inferiori, della conoscenza assoluta e della conoscenza relativa, del metodo come condizione di conoscenza e della relazione come condizione sufficiente di conoscenza.

Ragionevolezza e buon senso

La razionalità qualunque essa sia non vuol dire automaticamente ragionevolezza e buon senso. E non solo la razionalità scientifica spesso è irragionevole. E’ irragionevole anche quella che la nega. Negare una razionalità è già una manifestazione di irragionevolezza. Per essere ragionevole la razionalità deve accettare di confrontarsi nelle relazioni, deve usare le relazioni per conoscere, deve includere nei suoi ragionamenti la complessità della persona, della contingenza, della singolarità, biologica e biografica. Una eventuale medicina integrata dovrebbe essere quindi razionale e ragionevole, capace di vedere all’ontologia del malato come un campo di possibile conoscenza del biologico, del biografico, del contestuale.

Relativismo-scientismo

Se si è ragionevoli cade il rischio paventato dagli scientisti di scadere nel relativismo e quello contrario di scadere nello scientismo. In medicina la ragionevolezza impone che si rinunci al cosiddetto “relativismo forte”, per il quale si mette in dubbio il valore della scienza, l’oggettività delle malattie, la sostanzialità e materialità dei malati. Medicina integrata e relativismo forte sono non solo incompatibili ma anche incompossibili. Al contrario vi è un relativismo più mite, inoffensivo, che ormai caratterizza ampi settori della cultura contemporanea e che contraddistingue proprio l’esigente e quindi una società, che vuole stemperare l’assolutismo della razionalità scientifica, ma senza per questo incorrere nelle aporie del relativismo velleitario. Questo in medicina è auspicabile. In medicina oggi lo scientismo è pericoloso quanto il relativismo essi sono le due proverbiali facce della stessa medaglia. Oggi vi è una forte critica sociale allo scientismo medico. Questo però non vuol dire che la critica allo scientismo equivalga ad una legittimazione del relativismo. Oggi la sfida è il dialogo tra razionalità.

Ripensare la “ragione medica”

Ciò che oggi è “manifesto”, e che quindi si può “toccare con mano” è un grande bisogno di cambiamento. E’ sempre più chiaro che l’esigente domanda una medicina:

  • scientifica,
  • scientifica in altro modo,
  • ma non solo.

Per questa ragione oggi si rende necessario ripensare il motore principale della medicina vale a dire la “ragione medica”.

A quale idea, valore, principio deve riferirsi la ragione medica, per far si che i suoi modi di pensare, conoscere, operare siano coerenti con i bisogni che le vengono rivolti? Sino ad ora l’idea di riferimento per la medicina scientifica è stata la scientificità nei confronti del mondo fisico della malattia. Oggi questo non basta più. L’idea che contiene la complessità organica della malattia, quella della persona malata, del contesto e della situazione in cui il malato si trova, si chiama “attualità”. Si tratta di assumere l’ attualità come riferimento generale della ragione medica.
In una concezione fisica, biologica, corporea della malattia, il riferimento principale della ragione medica è la “natura”. Sino ad ora si è tentato di sommare, a tale tradizionale concezione, altre concezioni sociali o psichiche o ambientali della malattia, oggi si tratta di ridefinire alla base tale idea, attualizzarla e complessificarla. Senza questo passaggio non si potrà fare alcuna seria “umanizzazione”.

Nel momento in cui la malattia si esplica nell’attualità del malato, la ragione medica si deve ripensare rispetto alla complessità del soggetto malato, inteso come essere e persona, come corpo, come storia, come ambiente.
Per conoscere l’attualità del soggetto malato, serve sia una conoscenza scientifica che filosofica cioè quella che si incarica della riflessione, della comprensione, della ricerca di tutto quanto concerne l’attualità dell’essere e della persona, oltre le sue implicazioni biologiche, dentro le relazioni, le contingenze e le situazioni.

Il luogo, la circostanza, l’occasione, in cui conoscere l’attualità della persona malata, in cui servirsi non solo dei vari saperi disponibili, e da cui ricavare delle conoscenze ontologiche è la “relazione”con il malato. Al di fuori di essa nessun tipo di ripensamento è possibile. Per la conoscenza biologica della malattia le relazioni non servono, ma per la conoscenza dell’attualità di una persona malata, sono indispensabili.

Le persone nelle relazioni si esprimono prima di tutto con il linguaggio a partire dal quale avviene il dialogo, la comprensione reciproca, la trasmissione delle conoscenze, l’espressione delle scelte e delle esperienze. Il linguaggio è il primo importante riferimento della relazione, la comunicazione è successiva. Esso come asseribilità, oltre alla sintomatologia, diventa l’altro oggetto di conoscenza della persona malata e dell’operatore.

La razionalità clinica resta la base della conoscenza medica. Tuttavia si tratta di rendere la razionalità clinica la più adeguata nei confronti dell’attualità della persona malata. Oggi la sfida è clinica e relazione.
Il risultato dell’accordo tra razionalità medica, attualità, relazione e contesti, è “la razionalità ragionevole”. Essa è un modo di conoscere comunque rigoroso nelle sue logiche scientifiche, ma libero da visioni assolute e dogmatiche.

La razionalità ragionevole deve scegliere la cosa giusta da fare rispetto all’attualità della persona malata. Come si decide? Come si sceglie? Quale autonomia e quale responsabilità di chi decide? L’assunzione dell’attualità impone per forza che si scelga rispetto alla relazione e che a scegliere sia, da una parte il malato e dall’altra il medico.

La razionalità ragionevole non sarebbe tale se non accettasse la realtà incontrovertibile dei suoi diversi limiti nei confronti dell’attualità, compresi quelli economici ai quali la ragione medica sarà sempre più esposta. Il limite va assunto come una possibilità.

Bibliografia

  • I. Cavicchi: Medicina e sanità snodi cruciali, in particolare i capitoli “l’atto medico”, “la relazione con il malato: differenze di genere”, “Medicina di medicine”, Dedalo, Bari, 2010;
  • I. Cavicchi: “Filosofia per la medicina”, Dedalo, Bari 2011
  • Teoria: Critica della ragione medica, diretta da Adriano Fabris, XXXI/2011/1, Edizioni ETS, Pisa, 2011.
  • L. Turinese: Modelli psicosomatici. Un approccio categoriale alla clinica, Elsevier-Masson, Milano 2009.
  • M. Taranto, D. Taruscio: Controvento, i malati rari raccontano solitudine e coraggio, Health communication editore, Roma, 2011.

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