di Andrea Dei
La redazione di “Omeopatia33” ha ritenuto appropriato nell’edizione passata dedicare una breve nota al fenomeno dell’ormesi, che nella letteratura tossicologica e farmacologica suole indicare gli effetti stimolatori o inibitori indotti dall’interazione di un organismo vivente con una dose variabile di xenobiotico. I redattori, forse per amore di semplicità, si sono dimenticati della dimensione tempo che costituisce altresì un fattore di primaria importanza nello stabilire tale comportamento. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole: basti ricordare che la parola farmaco (pharmakon) in greco sottende etimologicamente l’ambiguità di significato di rimedio e di veleno.
Quello che meraviglia è il bisogno di dover sottolineare l’esistenza di tale fenomeno, che peraltro è ben conosciuto e caratterizzato da diecine di anni. Cito in primis i lavori di Boyd (prima) e di Stebbing (poi), che Edward Calabrese, pasionario da dieci anni dell’ormesi, si dimentica accuratamente di citare. Cito i libri di Paolo Bellavite che ha dedicato all’ormesi interi paragrafi dei suoi libri, anche se a mio parere non ne evince, nella sua interezza, quello che se ne dovrebbe evincere in termini di prospettive. Il fatto è che l’ormesi è una proprietà implicita nella concezione dell’essere vivente visto in un’ottica di sistema di variabili intercorrelate. Ma questa ottica è apertamente in contrasto sia con quella della medicina tradizionale ancorata alla linearità cartesiana, sia con quella della medicina omeopatica ancorata a classificazioni costituzionalistiche e tipologiche. E così i cultori delle due medicine, sospendendo temporaneamente i loro dibattiti farsa “scienza verso non scienza”, si trovano per una volta d’accordo nel rigettare il fenomeno senza rendersi conto che la base del loro dibattito si basa solo su una giustificazione in negativo dei propri tenet.
La realtà è semplice. La necessità primaria di un sistema vivente è l’esistenza di uno schema di organizzazione. L’auto-organizzazione caratterizzante la vita è possibile solo se esiste una coerenza di comunicazione fra tutti i costituenti dell’organismo. Lo scambio di informazioni biologiche può avvenire solo e soltanto se esiste una struttura ordinata dei costituenti. Poiché l’equilibrio chimico si raggiunge col massimo disordine, il sistema vivente per esistere deve essere concepito come un sistema lontano dall’equilibrio con una ben definita configurazione. Se un sistema di questo tipo viene perturbato per variazione di un parametro esterno come la temperatura o per interazione con un agente chimico, esso cerca di reagire sempre in maniera tale da mantenere la propria identità che è l’essenza del suo processo vitale. Pertanto tende ad opporsi alla perturbazione, almeno fino a quando l’entità della perturbazione glielo consente.
Poiché il sistema non è all’equilibrio, esso tende a sovracompensare la perturbazione in quanto tende a predisporsi per contrastare una eventuale ripetizione della perturbazione stessa. Come tutti sanno, questo comportamento è ben noto essere adottato dal sistema immunitario (modello della selezione clonale di Mc Farlane Burnet). L’ormesi è l’espressione fenomenologica di questo principio generale della fisica quando la perturbazione è piccola. Questa analisi è ovvia se si adottano i principi della dinamica non-lineare. La conoscenza medica si è sviluppata da centocinquanta anni a questa parte tentando di adottare un approccio metodologico lineare o statistico, che oggi è da ritenersi palesemente inadeguato.
Questo è il motivo per il quale da molte parti si spinge la moderna ricerca farmacologica all’adozione di terapie mediche che non si limitino allo sfruttamento dei comportamenti inibitori dei farmaci, ma anche alla loro possibiltà di stimolare i naturali meccanismi di autoguarigione dell’organismo vivente. Resta il fatto che questa proiezione cancellerà anche la necessità dell’introduzione di modelli operazionali implicanti potenze e isteresi di soluzioni contenenti quantità diluite di preteso principio attivo come sostenuto in omeopatia, anche se non v’è dubbio che, come riportato nel precedente articolo di “Omeopatia33”, l’ormesi debba essere considerata un concetto di riferimento per la ricerca omeopatica. Tuttavia deve essere chiaro che la filosofia che si verrà così a sviluppare prevederà l’esistenza di una sola medicina nel senso che verrà ad essere definita da un solo pensiero medico.
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