Cittadini e meteci della polis dell’omeopatia

di Andrea Dei, su “Omeopatia33” del 29 marzo 2007

La medicina è una tecnica sintesi di arte, cognizione, perizia, capacità, che permette di favorire il recupero dello stato di salute di un organismo malato. La medicina non è una scienza, come crede la stragrande maggioranza della gente comune, ma tuttavia non può prescindere dal considerare la conoscenza scientifica. Quando il supporto scientifico a una certa pratica terapeutica è carente, come quasi sempre avviene nel caso delle terapie utilizzate nelle medicine complementari, non c’è nulla di male se un medico si affida a quella pratica terapeutica che lui ritiene appropriata, ma non può di principio non auspicare una spiegazione razionale di quello che sta utilizzando. La gran parte dei medici che hanno scelto di affiancare a quanto appreso all’università altre metodologie terapeutiche per la cura dei propri pazienti, non ha dubbi in proposito. Per loro il fine è favorire la guarigione del paziente, non è la tecnica stessa in senso di Heidegger.

Nel recente passato la riscoperta del fenomeno della non linearità dose-risposta definito dall’ormesi (effetto bifasico stimolatorio a basse dosi, inibitorio ad alte) ha stimolato alcuni membri della comunità omeopatica a considerare il fenomeno stesso come supporto giustificativo della medicina omeopatica. Ancorché espresso con punti di vista diversi e implicante prospettive diverse (Bernardini et al., 2006; Mastrangelo, 2007; Bellavite et al., 2007, per limitarsi alla realtà nazionale), l’evidenziare la connessione fra il fenomeno stesso e la pratica terapeutica dell’omeopatia è stata comunemente convenuto. Ad essi si è aggiunto lo scrivente che, essendo chimico e non medico, ha visto nell’ormesi un principio generale della fisica e della chimica che determina la reattività di un sistema in non-equilibrio quando viene ad essere sollecitato da una perturbazione esterna, ed ha proposto una metodologia di ricerca estremamente elementare che portasse luce sul meccanismo di azione delle sostanze a diluizioni molecolari.

Desta meraviglia pertanto il violento attacco apparso via web a firma di Angelo Micozzi, peraltro noto omeopata, che dopo un’aperta critica all’empirismo logico (ritengo abbia inteso riferirsi al neopositivismo logico di matrice Circolo di Vienna, corrente di pensiero adottata correntemente dal mondo anglosassone), invita il partito costituito dagli omeopati che si sono occupati di ormesi e dai loro seguaci ad astenersi dal compiere tali esercizi disinvolti di disquisizione fuorviante e, visto che l’omeopatia, a suo dire, la sanno poco o punto, sarebbe bene che la studiassero meglio.

Ritengo che nel novero dei futuri studenti dell’omeopatia debba comprendersi anche l’anima di Boyd, professore universitario e omeopata del secolo scorso, autore di quel meraviglioso libro che è “Il “simile” in medicina” (traduzione di Paolo Bellavite) che, senza avere avuto contatti con il Circolo di Vienna, sosteneva lo stesso sciagurato e epistemologicamente pernicioso punto di vista degli omeopati sopracitati “incolti e traditori”.

Faccio un solo commento. Di fatto Angelo Micozzi è una personalità nel mondo dell’omeopatia e la sparata ha il solo scopo di cercare di eleggere a unici cittadini con diritto di giudizio parola e voto una certa corrente di pensiero terapeutico e di relegare al ruolo di meteci, ovvero dozzinali prestatori d’opra senza diritto di voto, tutti quegli altri che vorrebbero che l’omeopatia non fosse autolimitantesi. Tale autolimitazione è un lemma diretto dell’affermazione dello stesso Micozzi quando sostiene che l’epistemologia omeopatica trova la sua stessa definizione statutaria nelle affermazioni di Hahnemann. Il che vale a dire che l’omeopatia è di per sé una disciplina essenziale con implicito e non sotteso rifiuto della medicina accademica in toto. Il che tuttavia non impedisce ai cittadini della polis di fregiarsi della protettiva appartenenza all’Ordine dei Medici, che con l’Istituzione ha firmato il patto di delegare il controllo della cultura all’accademia stessa. Ma perché non si dimettono? E perchè l’Ordine non li dismette? Non sarà mica perché con le loro sparate aiutano l’Istituzione a controllare e a gettare discredito sulla banda dei meteci che, ammesso e non concesso che siano culturamente raccogliticci, purtroppo costituiscono un numero sempre più preponderante?

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