Quando la febbre era “amica” dell’uomo

di Andrea Cionci, su “La Stampa” del 22 maggio 2020 – LINK

Come fenomeno fisiologico va comunque sempre indagata dal medico, ma è una risorsa del nostro organismo. In un libro tutti i chiarimenti sul senso biologico della reazione febbrile.

«Datemi la febbre, e curerò ogni malattia»: è una celebre frase attribuita a Ippocrate che ricorda come il concetto medico di febbre abbia subìto nei secoli profondi cambiamenti. Per gli antichi, che difficilmente separavano la medicina dalla filosofia, la febbre poteva perfino derivare da uno stato di connessione con la divinità, senza essere per forza manifestazione di uno stato patologico. Già gli antichi medici cinesi, indiani, arabi e da tutto il resto del mondo, si sono trovati, più di 3000 anni fa, a dover gestire infiammazioni, ferite infette ed epidemie – spesso date dalle cattive condizioni igieniche e alimentari – la cui tipica manifestazione era la febbre, anche detta piressia.

In Occidente, la percezione che se ne aveva nell’antichità fu influenzata a lungo dalla teoria «umorale» di Ippocrate, poi consolidata e ribadita da Galeno, secondo cui le malattie derivano da una variazione degli umori corporei rispetto alla condizione normalmente fisiologica. Per guarire dai malanni, il corpo doveva quindi espellere gli umori «peccanti». La febbre era considerata, quindi, una conseguenza della lotta sostenuta dall’organismo contro il «principio alteratore» all’origine della malattia. Tale impostazione fu all’origine dell’invenzione di cure che a volte potevano essere controproducenti o pericolose e che si avvalevano di purganti ed evacuativi somministrati per facilitare l’espulsione degli umori «peccanti».

Nel Medioevo, poi, le idee si confusero ancora di più, dato che si era molto radicata la convinzione che la febbre fosse direttamente collegata ai pidocchi. Infatti, questi parassiti sono molto sensibili alla temperatura corporea e un suo minimo aumento ha l’effetto di farli andare via, alla ricerca di un altro ospite.

Nonostante l’onnipresenza di questa manifestazione fisica in moltissime condizioni patologiche, gli antichi manuali di medicina ne hanno trattato raramente, nello specifico. In un’epoca dove il misticismo e la medicina si consideravano un tutt’uno, essere malati era molto più “poetico” di oggi: la malattia era vista più come uno stato di trapasso, di mutamento, trascendenza e purificazione. Eppure, ancora oggi, la febbre fa paura forse più di un tempo, quando almeno lo sciamano o un uomo medicina rincuorava gli animi degli afflitti raccontando storie fantastiche riguardo il loro stato di salute.

Oggi, la malattia viene vista solamente come un problema e nella cultura odierna, tutto ciò che è un problema non va tanto risolto, quanto eliminato. Purtroppo l’eliminazione dei problemi a scapito della loro risoluzione cosciente non ne permette il loro reale superamento. Ciò che negli ultimi decenni si è consolidato, è quindi una visione della febbre come “malattia in sé”, spesso con scarsa attenzione alle cause che l’hanno provocata. Nel mondo, in effetti, si verifica oggi un abuso di farmaci antipiretici anche per banali infezioni virali parainfluenzali che richiedono solo riposo e attesa; peggio ancora, la soppressione della febbre può spesso nascondere una patologia sottostante che invece va curata con altri farmaci, quali gli antibiotici o gli antivirali.

Un recentissimo libro del dottor Gianpaolo Giacomini “La febbre non è una malattia” (Om edizioni), mira a chiarire il senso biologico della reazione febbrile, così tanto temuta da molti e spesso fonte di ansia e paure. Senza dubbio, la febbre come fenomeno fisiologico (e non patologico in sé) va sempre indagata dal medico per escludere cause gravi in gioco, ma deve essere vissuta come un momento di attivazione del sistema fisiologico, non come una sconfitta. La vera sconfitta avviene quando la febbre viene fatta cessare mentre le cause che l’hanno provocata sono ancora attive.

«Se non ben amministrata e modulata – spiega il dottor Giacomini – vissuta con timore e addirittura paura, o peggio ancora se soppressa esclusivamente come sintomo con l’utilizzo di farmaci ed altri tipi di presidi anche non farmacologici, si perde totalmente il potenziale rigenerativo e curativo della febbre; si intorpidiscono le reazioni biochimiche, cellulari ed enzimatiche che solo con la febbre prendono vita, si inibiscono i potenziali di rigenerazione del sistema fisiologico e si giunge ad uno stadio di blocco funzionale di tutte le reazioni organiche in particolare immunitarie».

La febbre è una reazione di liberazione, di sblocco di situazioni potenzialmente bloccate e melmose, indice che il sistema sta reagendo nella lotta per riaffermare sé stesso. Inoltre, la piressia può essere spesso anche di origine psicosomatica. Lo stress cronico e l’esposizione a eventi emotivi traumatici possono causare una febbre psicogena.

«Questo è particolarmente evidente nei bambini – continua Giacomini – che possono manifestare temporanei aumenti della temperatura in seguito ad eventi traumatici o emotivamente importanti». In alcuni soggetti, uno stress protratto nel tempo può causare una febbriciattola persistente di basso grado da 37 a 38 °C. Altri soggetti, invece, manifestano picchi di temperatura corporea elevata, fino a 39-40° C. Particolarmente soggette alla febbre psicosomatica risultano le giovani donne.

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