Morire di vaccino? Tutte le insidie del nesso di casualità

di Paolo Bellavite, da “La Bussola Quotidiana” del 2 febbraio 2021 – LINK

Un errore di valutazione in questa fase può portare facilmente a sottostimare l’impatto dei vaccini sulla mortalità. Il nesso di causalità è un procedimento estremamente difficile, sia per “dimostrarlo” che per “escluderlo”, come si evince anche dalla linee-guida dell’OMS. Anche perché per alcune patologie, come quelle cardiovascolari, diventa difficile escludere un nesso di causa di un vaccino che potrebbe avere impatto su certe dinamiche. 

“Il Foglio” del 19 gennaio scorso ha dato risalto a un intervento di Enrico Bucci sulle reazioni avverse mortali segnalate dalla stampa all’inizio della campagna vaccinale. Il titolo è Chi urla “morto dopo il vaccino!” dovrebbe prima dimostrare il nesso di causalità. Bucci, che nei lavori si firma come affiliato a Temple University, Philadelphia, Pennsylvania, USA non è esperto di vaccinologia ma si pregia di dare la caccia ai “cattivi scienziati” e ai “no-vax”. Nel tentativo di negare il problema, lo scrittore sviluppa dei ragionamenti ad effetto, compiendo però grossolani errori concettuali. Emerge la mancanza di conoscenza dell’argomento e la visione parziale del problema degli effetti avversi.

TRAPPOLE COGNITIVE?
Bucci inizia dicendo che «prima di preoccuparsi per i decessi osservati in un certo arco di tempo dall’inizio delle vaccinazioni, bisognerebbe avere la sicurezza che quei morti rappresentino un eccesso statistico significativo rispetto a quanto atteso». Il suo ragionamento si basa sulla previsione di morti dovute alla vecchiaia o ad altre cause, come segue: “Dopo un mese dal vaccino Pfizer, in Italia moriranno in media circa 156 ultraottantenni ogni 10.000 cui sarà stata somministrata la profilassi contro il Covid-19. Centocinquantasei ultraottantenni morti in un mese ogni 10.000 sono grosso modo i morti che, tabelle Istat alla mano, ci si attende in Italia (senza considerare l’eccesso di mortalità in quella fascia di età dovuta al Covid-19).” Continua: “Se osserviamo con attenzione quanto ho detto, scopriremo che pensare in questo modo – un tratto tipico del pensiero No vax, ma forse in realtà una trappola cognitiva ben più diffusa, visto che i giornalisti davvero fanno titoli con ogni singolo morto osservato dopo qualunque vaccino – è nulla più che il classico errore chiamato “post hoc ergo propter hoc”. Conclude: “Oltretutto, pure nel caso in cui un eccesso di mortalità dopo una vaccinazione si osservasse davvero, e fosse evidente che non si tratta di una semplice fluttuazione statistica, bisognerebbe aspettare la dimostrazione del nesso di causalità, invece di usare il trucco della consecutio temporum nell’ennesimo titolo di giornale – “morto dopo il vaccino!”

L’argomento è di ovvio impatto e di grande importanza, ci si confronterà con esso nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Vediamo quindi di chiarire i punti sollevati e spiegare dove stanno le “trappole cognitive” della teoria di Bucci.

CALCOLO DELLE PROBABILITA’?
Ammettiamo che il punto di partenza statistico (156 ultraottantenni morti in un mese su 10.000) sia giusto: si sa che gli anziani muoiono, prima o poi. Però qui Bucci nasconde un primo “trucco”: il raffronto non va fatto per un mese, ma per una settimana, perché gli effetti avversi gravi e immediati dei vaccini anti-covid avvengono entro i primi 7 giorni. Quindi le probabilità per un ultraottantenne di morire proprio in quella settimana non sono 156 su 10.000 ma 36 su 10.000, cioè 3,6 su 1000. Una probabilità piuttosto bassa, comunque! Un evento mortale nel giro di una settimana dopo il vaccino potrebbe starci di certo, ma proprio la statistica ci dice che esso è MOLTO IMPROBABILE.

Di conseguenza, la logica vorrebbe che, di fronte ad un anziano morto dopo la vaccinazione, non si partisse dall’ipotesi che la morte sia normale o nella media statistica. AL CONTRARIO, la procedura concettuale e metodologica che si deve seguire è quella di cercare tutte le plausibili CAUSE dell’evento clinico, prima di concludere che si tratti di un evento attribuibile all’età o alle patologie ad essa associate. Solo se si riscontrassero altre cause di morte, si badi bene SICURAMENTE NON CORRELATE ALL’EFFETTO DEL VACCINO, si potrebbe concludere che si tratti di un evento dovuto all’età o ad altri fattori e quindi che la responsabilità del vaccino – almeno come con-causa – sia da escludersi. Un errore di valutazione in questa fase (vedi punto terzo successivamente trattato) può portare facilmente a sottostimare l’impatto dei vaccini sulla mortalità.

ECCESSO STATISTICAMENTE SIGNIFICATIVO?
Bucci sostiene che non ci si dovrebbe preoccupare per i decessi, finché non si abbia la certezza che i morti dopo il vaccino rappresentino “un eccesso significativo rispetto a quanto atteso”. Sembrerebbe una buona idea, ma in pratica non sta in piedi. Se consideriamo la “base” di 3,6 morti già normalmente attesi in una settimana su 1000 anziani, quanti morti in più dovranno realizzarsi per rappresentare un “eccesso significativo”? Sapendo che le fluttuazioni di mortalità sono notevoli da un anno all’altro, nelle diverse stagioni e nelle diverse età, come e quando si potrebbe arrivare a un valore statisticamente significativo che segnali la differenza nel numero dei morti tra gli ultraottantenni?

Tenendo conto delle molte variabili e della necessità di fare una stima del nesso di causalità, si potrebbe forse arrivare a una certezza statistica di un ruolo del vaccino solo dopo molto tempo e solo se i valori fossero molto diversi dal basale atteso. Ad esempio, una variazione del 10% di mortalità sarebbe molto difficile da rilevare in tempi ragionevoli come soglia che segnalerebbe un’anomalia, un pericolo: per poter notare la differenza del 10% si dovrebbe passare da 3,6 di base a un valore di almeno 4,0 casi per settimana ogni 1000 vaccinati. Tralasciando il fatto che queste stime potrebbero essere fatte solo alla fine di un lungo periodo di raccolta dati (e nel frattempo?), resta il fatto che una differenza di 0,4 casi per 1000 – differenza che ipoteticamente potrebbe segnalare una variazione rispetto alla media – corrisponderebbe a 4 morti su 10.000 vaccinati, cioè 4000 morti su 10.000.000. Quattromila morti per una campagna vaccinale è una cifra inverosimile e inaccettabile, oggi. Quindi, tutto il ragionamento di Bucci sul raggiungimento della presunta “certezza statistica” di un eccesso di mortalità è del tutto teorico, inapplicabile. In altre parole, è una difesa del vaccino campata in aria.

E veniamo al terzo punto, il “nesso di causalità” che Bucci cita come se fosse un ulteriore argomento contro le preoccupazioni dei “no vax”. Le cose non sono così semplici, e la valutazione del nesso di causalità è un procedimento estremamente difficile, sia per “dimostrarlo” che per “escluderlo”, come si evince anche dalla linee-guida dell’OMS.

Due autori indiani, esperti nel valutare i danni da vaccino, hanno segnalato come le linee-guida per valutare il nesso di causa si prestino ad essere utilizzate in modo tale da escludere il nesso, quando è utilizzato un errato e limitato concetto di “associazione causale” [Puliyel J, Naik P. F1000Res. 2018;7:243]. Essi scrivono che l’approccio oggi utilizzato implica che si riconosca un nesso causale solo quando si dimostra che il vaccino è la sola “CAUSA” che ha determinato l’evento. Se poi all’analisi si trova un’“ALTRA CAUSA” che potrebbe aver determinato l’evento invece del vaccino, la responsabilità di quest’ultimo è facilmente esclusa. Però questa veduta del nesso causale è limitativa e pericolosa.

Fanno l’esempio di una persona anziana con insufficienza cardiaca che potrebbe sviluppare sintomi di scompenso cardiaco e morire dopo la vaccinazione antiinfluenzale. Secondo il concetto di associazione causale “univoca”, il vaccino non sarebbe considerato come correlato causalmente a questo scompenso cardiaco, perché tale condizione patologica era presente già prima della vaccinazione. Utilizzando una definizione rigida di causalità, il fatto che l’immunizzazione possa “contribuire” materialmente agli eventi avversi viene regolarmente ignorato e ciò modifica drasticamente il rapporto benefici/rischi di un vaccino. Io pure ho scritto un articolo in cui spiego in dettaglio la questione e come si possa sbagliare proprio si questo delicato passaggio [Bellavite P. F1000Res. 2020;9:170].  

Va notato che dalle ricerche sui vaccini Pfizer, già pubblicate in parte, è emersa un’alta “reattogenicità” nella prima settimana dopo l’inoculo della seconda dose, con effetti avversi gravi in una percentuale di soggetti superiore a 1 su 1000. Ad esempio, la febbre considerata grave (superiore a 38,9 °C) compare in circa 2 vaccinati su 1000, i brividi in 10 su 1000. Se tali reazioni si verificano in persone anziane e “fragili”, possono divenire “con-causa” di effetti avversi gravi o gravissimi. Inoltre, va considerato un problema in più (rispetto al normale antiinfluenzale) generato da questi vaccini perché essi funzionano facendo produrre le proteine “spike” alle cellule del vaccinato e tali proteine hanno una notevole affinità per un enzima detto ACE2, che regola la pressione del sangue. Non sarà facile per un cardiologo escludere nesso di causa di un vaccino che può, in teoria, avere un impatto sulle dinamiche cardiovascolari.

Tutto ciò non significa che questi vaccini facciano più male che bene o che siano sconsigliabili. La valutazione se vaccinarsi deve essere fatta serenamente e liberamente, sapendo comunque che le reazioni gravi sono, per fortuna, abbastanza rare. Però non è accettabile una propaganda basata su argomenti “ad effetto”  inapplicabili e non bisogna cascare nelle trappole cognitive di chi propugna utilizzi faciloni della statistica. Sul “nesso di causa” non si può scherzare, per scienza, coscienza e giustizia.

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