di Andrea Dei, su “Omeopatia33” del 10 marzo 2011
Jacques Monod diceva che in biologia il problema era capire la cellula, visto che poi i ragionamenti che si facevano per l’ameba e l’elefante si fondavano sugli stessi principi. Il senso della dimensione sfugge alla gran parte dei medici e il pendolo della terapia medica oscilla fra numeri enormi, come quando solitamente si prescrive una dose di dieci milioni di molecole per cellula dell’organismo del paziente, come nel caso di un’aspirina o un antibiotico, e numeri piccolissimi, come quando l’omeopata prescrive il profumo di una molecola per ogni centinaio di migliaia di miliardi di cellule dello stesso paziente.
Ma il medico non lo realizza più di tanto, sia perchè l’educazione che ha ricevuto è stata impartita da maestri che avevano un’idea vaga sulla quantizzazione della materia, sia perché l’oggetto della sua attenzione (cioè il paziente e i parametri di riferimento che si suole correlare col suo stato di salute) ha sempre una dimensione più o meno costante. Di fatto anche coloro, come i farmacologi, che per mestiere con la dimensionalità dovrebbero essere più riguardosi, passano spesso la vita confortevolmente intorpiditi nel loro bozzolo di tenets, giacchè la scienza, come la chiamano loro, ha loro insegnato che quando lo scopo è di soffocare un’anomalia, seppellirla sotto qualche quintale di terra o una montagna come il Monte Bianco, non fa poi una grossa differenza. Anzi, eccedere infonde sicurezza sul successo del risultato, procura prestigio e attira l’ammirazione del popolo. Da qui gli urletti di meraviglia quando ci si accorge dell’esistenza di una dimensione che la biofarmacologia (sulla quale si fonda la biomedicina (che noi spesso indichiamo col nome di medicina accademica), ha volutamente trascurato. Il mondo in questione è quello costituito dalla farmacologia delle microdosi, che a Firenze stiamo dimostrando essere operative a concentrazioni inusualmente basse, dando origine a comportamenti ben diversi, quando non opposti, a quelli causati dalle stesse molecole in concentrazione più elevata.
Era poi così difficile l’ immaginarlo? Per certo, no. Bastava pensare a quello che aveva scoperto Jean-Henri Fabre, l’Omero degli insetti, nella seconda metà dell’Ottocento, e che tutti i ragazzini trovano sui libri per ragazzini. Fabre aveva osservato che una femmina di Saturnia pyri (detta Pavonia maggiore, la falena europea più grande) una volta messa in gabbia, era in grado di attrarre i maschi per un raggio di 20 Km. Aveva scoperto i feromoni di richiamo, che poi si è saputo essere composti organici poliolefinici a struttura ramificata. Si è scoperto altresì che il raggio di richiamo in assenza di vento e in pianura è limitato a 5 km, ma già questo porta ad alcune considerazioni. Poiché i bruchi di questa falena e di altri insetti costituiscono una jattura per i frutteti che li ospitano, si è soliti porre delle trappole biologiche in grado di creare nel frutteto un’atmosfera uniforme di feromoni di un nanogrammo per metro cubo. Il maschio attratto dalla fonte di feromoni segue la direzione in cui trova un gradiente di concentrazione positivo, ma l’effetto dell’eccesso di feromoni emanati dalla trappola ne provoca il disorientamento e non è più in grado di trovare la direzione da seguire per arrivare alla fonte dell’effluvio.
Ora poiché un nanogrammo corrisponde a circa 2-3 picomoli, per avere un effetto di confusione presumo che debba essere almeno dieci volte più concentrato di quello emesso dalla femmina. Assumendo quindi una concentrazione naturale di 200-300 femtomoli per metro cubo nei pressi della femmina e che esista un gradiente di concentrazione del 33% ogni 100 metri, per permettere al maschio di stabilire una direzione certa per raggiungere la femmina, si arriva alla concentrazione di non più di qualche decina di molecole per metro cubo a 5 km di distanza. Se invece si assume che il gradiente di concentrazione sia del 40% ogni 100 metri (cioè lo 0,4% ogni metro) si arriva addirittura meno di una molecola per metro cubo. I lettori maschi diranno che noi umani siamo molto più sensibili, mentre le lettrici pregheranno per nascere Pavonia maggiore nella prossima vita. In tutti i casi rimane il fatto che in natura una manciata di molecole è sufficiente a far andare avanti il mondo.
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