di Andrea Dei, su “Omeopatia33” dell’8 maggio 2008
Su queste pagine ho già affermato che quando il supporto scientifico a una certa pratica terapeutica è carente, come quasi sempre avviene nel caso delle terapie utilizzate nelle medicine complementari e molto spesso anche in quella accademica, non c’è nulla di male se un medico si affida a quella pratica terapeutica che lui, sulla base della propria esperienza, ritiene appropriata. L’etica medica si basa sull’adoprarsi a favorire la guarigione del paziente e, pertanto, se il medico decide di affiancare alla cultura, che gli permette di appartenere all’Ordine Professionale, quella dovuta ad altri pensieri medici, tale decisione non può che essere altamente condivisa. Quello che non è assolutamente condivisibile è il sostenere ostentatamente posizioni ciarlatane ovvero non supportate da nessuna evidenza, per il danno che recano alla credibilità professionale e morale di colleghi onesti, che si guardano bene dall’uscire dal carattere euristico che l’adozione di tale pratica terapeutica prevede. E’questo il caso della memoria dell’acqua, richiamata su queste pagine con la recensione dell’articolo di Martin Chaplin sull’argomento (Homeopathy, 2007, 96, 143).
La memoria dell’acqua è il preteso lapis philosophorum di una tipologia di omeopata ansioso di presentarsi coi paramenti alchemici con i simboli di zolfo e mercurio piuttosto che col camice bianco. Essa si riferisce al trasferimento di una informazione permanente da parte di una molecola di soluto a un grappolo di molecole di acqua che ospitano tale molecola e quindi vengono denominate molecole di solvente. La pretesa con ambizioni alchemiche è quella di giustificare l’efficacia terapeutica della soluzione di una sostanza presunta efficace, quando dopo diluizioni successive con acqua e ripetute succussioni della soluzione originale la probabilità di trovare una molecola presunta efficace all’interno della soluzione finale è praticamente nulla, stante la quantizzazione della materia.
Poichè, a parte la composizione isotopica, le molecole di acqua sono tutte uguali e non è mai stato messo in evidenza in nessun esperimento che esse adottino un comportamento funzione della loro storia precedente, i più dotti sostenitori di tale teoria sostengono che il trasferimento di informazione implichi l’adozione di una certa configurazione permanente da parte del grappolo di molecole. Configurazioni spaziali e di coerenza (come l’onda) vengono di volta in volta tratte in ballo. Quello che ci si dimentica è che non esiste nessun dato sperimentale che supporti tale visione, mentre quello che si sa per certo dalle “informazioni poco scientifiche” di Chaplin è che gli atomi di idrogeno sono scambiati dalle molecole di acqua che sono a contatto fra loro circa 1000 miliardi di volte al secondo, che ogni molecola di acqua si scontra con un altra 10 miliardi di volte al secondo e che non contenta si rigira nello spazio circa altrettante volte nel solito secondo.
E’ vero, come dice Chaplin, che nel ghiaccio le molecole stanno praticamente ferme, ma è anche vero che danno le stesse diffrazioni ai raggi X, il che vuol dire che la disposizione è sempre la stessa. C’è da tenere infine conto che tali proprietà nel liquido variano fortemente con la temperatura e che quindi tale memoria dovrebbe essere funzione della storia termica della soluzione. Tutto questo rende altamente improbabile, se non ridicolo, il concetto di memoria dell’acqua.
Qualsiasi chimico o fisico sa che la descrizione dell’acqua è un problema difficile stante la natura caotica del sistema, ma questo non autorizza alla antinomia nel senso etimologico di “fuori dalle regole”. La memoria dell’acqua rimane una malattia infantile e purtroppo infettiva dell’omeopatia e, poiché uno dei sintomi dell’infantilismo è la testardaggine, viene ogni tanto tirata in ballo, visto che si trovano sempre suadenti eresiarchi pronti a gettarla in pasto all’omeopata con ambizioni alchemiche. Anche perché il fatto che un meccanismo diverso dalla memoria dell’acqua possa essere responsabile della pretesa efficacia di una soluzione ultradiluita, quale ad esempio la sensibilizzazione di micro-organismi, che molto spesso all’Università di Firenze sono stati trovati abitare nelle soluzioni dei medicinali omeopatici, può rappresentare uno sforzo intellettuale forse troppo oneroso. Non a caso Mefistofele nel Faust di Goethe si trova a dire:
Denn eben wo Begriffe fehlen
Da steilt ein Wort zu rechte Zeit sich ein
(proprio dove manca il concetto, ecco la parola giungere a proposito a prenderne il posto). In questo caso la parola ha il significato di ciancia e diventa facile strumento di discredito non solo verso chi la esprime, ma anche nei confronti di quelli che, con coscienza professionale (coscienza = scienza congiunta di percezione e sapere), adottano tale metodologia terapeutica e, potendo adottare più mezzi di cura, sono orgogliosi di indossare il loro camice bianco senza i simboli dello zolfo e del mercurio cuciti sopra.
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