Il diritto di abuso e l’abuso del diritto

di Gino Santini – Da “Omeopatia33” del 9 dicembre 2022

Nel 1983 la Gastroenterological Society of Australia rigettò l’abstract presentato da Barry Marshall che aveva scoperto l’esistenza dell’Helicobacter pylori; lui non si arrese e nel 2005 ottenne il giusto riconoscimento, vincendo il Premio Nobel per la medicina. Questo a dimostrazione del fatto che la ricerca scientifica (per meglio dire, qualche suo accolito particolarmente rigido) a volte prende derive autoritarie decisamente poco felici, nonché scarsamente lungimiranti.
Per fare un altro esempio, sono due gli atteggiamenti farmacologici che hanno seguito la stessa strada: il primo impone che un farmaco può essere considerato come efficace solo quando viene assunto oltre una determinata concentrazione; il secondo, in palese antitesi con il precedente, stabilisce che se una molecola viene considerata dannosa lo sia a prescindere dalla sua concentrazione. Con premesse di questo tipo, qualunque velleità di nuove aperture razionalmente validate (il riferimento alle microdosi omeopatiche non è casuale) vengono aprioristicamente bastonate; il tutto solitamente accompagnato dagli sberleffi di una falange di improvvisati “sbufalatori” che hanno trovato nell’opposizione anti-omeopatia quella notorietà effimera che evidentemente non sono riusciti a raggiungere finora con il loro usuale lavoro.
Sfortuna per essi vuole che una pandemia birichina abbia scompaginato le carte. Contrordine, signori: niente Linee Guida, niente protocolli prestabiliti, ma solo la sana e buona semeiotica di una volta. Con infinito sollievo per chi, omeopaticamente parlando, la clinica l’aveva sempre interpretata in tale modo. Avvenne così che nei piani alti, quelli dove vengono prese le decisioni irrevocabili, ha cominciato a soffiare il sinistro venticello dell’insicurezza, al quale si è posto rimedio con la strategia più sbagliata, quella delle scelte autoritarie inevitabilmente sorrette da deboli motivazioni scientifiche, quando non da semplici opinioni dei cosiddetti “esperti della materia”. A dire il vero, la fase più drammatica della pandemia ha tratto indubbi benefici da questi disperati ma necessari atteggiamenti; i lati negativi della questione sono stati il persistere con tali strategie anche alla fine del periodo emergenziale e il volto nuovo di una ricerca scientifica incatenata a un monopolio di pensiero rigidamente invulnerabile ad ogni confronto.
L’ultimo esempio in ordine di tempo proviene dall’alveo accademico, teoricamente la sede preposta ad ospitare confronti e discussioni tecniche, spogliate della veste “social” che alimenta solo dannosi fanatismi. L’occasione si mostrava scientificamente ghiotta: un convegno organizzato al Politecnico di Torino con l’obiettivo di uno sguardo d’insieme sulla complessità del fenomeno Covid-19, suddiviso in cinque aree tematiche di lavoro e studio – biologia, medicina, diritto, bioetica, sociologia e comunicazione. L’organizzazione dell’evento, avviata durante l’estate, ha coinvolto fin da subito – integrandoli nel Comitato Scientifico – esponenti dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dell’ex CTS, che è stato consulente del Governo italiano nel periodo dell’emergenza (dall’Agenzia Italiana del Farmaco nessun segno di riscontro).
Sempre ai piani alti di cui sopra devono avere avuto più di qualche brivido lungo la schiena, probabilmente vedendo nel confronto possibili conseguenze che avrebbero incrinato il conclave scientifico in salsa autoritaria faticosamente tenuto in piedi finora. A due settimane dallo svolgimento è stata improvvisamente comunicata dai relatori dell’ISS e da altri da loro indicati (!) la rinuncia a partecipare, con la motivazione che il convegno avrebbe dato spazio a punti di vista diversi sulla pandemia. Che poi, detto tra noi, sarebbe stato proprio quel confronto che dovrebbe essere lo scopo primario di qualunque evento di questo tipo. Scontato, ma evidentemente non per tutti.
Se le premesse per fare ricerca, almeno in Italia, sono queste, desta ulteriore sconcerto l’osservare che la medicina ufficiale irrida e condanni con ludibrio la pratica della farmacologia delle microdosi sulla quale si fonda l’omeopatia, giudicandola senza senso (pur non conoscendo alcunché di questa disciplina) e assumendo lo stesso atteggiamento in molti altri ambiti come il clima e l’energia nucleare. Fortunatamente chi sceglie di curarsi con l’omeopatia, lo fa per scelta volontaria, mentre così non è quando la medicina “ufficiale”, di fatto, impone all’intera società le sue scelte indimostrabili in nome del diritto di abuso e di abuso del diritto che le sono istituzionalmente riconosciuti. E la storia continua…

Gino Santini
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Direttore dell'Istituto di Studi di Medicina Omeopatica di Roma. Segretario Nazionale SIOMI. Giornalista pubblicista. Appassionato studioso di costituzioni e del genere umano.

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