Il BMJ e la clava della EBM sull’omeopatia

di Gino Santini – Da “Omeopatia33” dell’8 aprile 2022

Ci risiamo. Puntuale come una cartella esattoriale arriva l’attacco “scientifico” all’omeopatia​1​. La rivista è annoverata fra quelle prestigiose, stiamo parlando del BMJ EBM, ma è proprio quella sigla aggiunta al titolo della rivista (Evidence-Based Medicine) che la dice lunga sulla strategia utilizzata dal manipolo di ricercatori austriaci, con qualche infiltrato dal North Carolina: gli omeopati, secondo gli autori dello studio, pubblicano solo quello che conviene loro, mantenendo accuratamente nascosti i risultati negativi delle loro ricerche. Viene chiamato in causa il famigerato reporting bias, per essere chiari. Per questo motivo, si legge nelle conclusioni, quando si parla di efficacia di uno studio sull’omeopatia bisogna essere molto sospettosi e prendere questo risultato con le molle. La solita trama noiosa e stantia di un film già visto e rivisto.
Verrebbe da pensare, quindi, che la pubblicazione di un risultato positivo conseguito con una strategia omeopatica e pubblicato su una rivista “impattata” (e quindi regolarmente sottoposto a una peer-review) non ha il valore, secondo i Soloni dell’EBM dura e pura, di una analoga pubblicazione più “accademica”. Senza contare che questo atteggiamento di nascondere la polvere dei risultati scomodi sotto il tappeto della mancata pubblicazione vale forse ancora di più per il mondo scientifico convenzionale, se non altro considerando l’enorme disparità dal punto di vista semplicemente numerico degli studi pubblicati dalle due parti. Gli errori metodologici della metanalisi di Shang (Lancet, 2005) evidentemente non hanno insegnato nulla.
Ma nulla accade per caso e, come in una perfida legge del contrappasso, è proprio dalle pagine del BMJ che qualche giorno fa Jureidini e McHenry​2​ hanno riportato una spietata elencazione delle magagne che affliggono l’EBM, ponendo in cima alla lista la possibilità che hanno le aziende farmaceutiche di rendere pubblici i dati raccolti nelle varie sperimentazioni nei modi e nei tempi che desiderano. Come dire, chi osserva la pagliuzza sembra non rendersi conto della trave che lo affligge.
Dello stesso tenore le risposte alla pubblicazione inviate dall’Homeopathy Research Institute, ma già qualche anno fa Robert Mathie (Systematic reviews, 2014)​3​ aveva dimostrato che l’impatto degli studi non pubblicati era ben conosciuto anche a livello di processo di verifica, a maggior ragione quando questi riguardavano argomenti così controversi, come per l’omeopatia. Lo stesso Mathie si è quindi unito alle voci di Dana UllmanElizabeth RobertsMichael Frass e Menachem Oberbaum per difendere a spada tratta il lavoro di chi si occupa di ricerca clinica in omeopatia, rispondendo in prima persona al BMJ con solide argomentazioni.
Al di là di tutto questo, sarebbe anche auspicabile che si esaurisse, una volta per tutte, questa esaltazione rigida e assolutistica della EBM, che molti sembrano scordare essere nata per eliminare fattori confondenti sulla base di costruzione di gruppi omogenei di pazienti. Ne consegue che la strategia EBM sia ottimale per i fatti acuti, è doveroso riconoscerlo, dove bisogna rispondere in tempi brevi con una terapia che può permettersi di tralasciare le caratteristiche del malato. Troppo semplicistico (probabilmente perché rappresenta la strada meno faticosa) utilizzare il filtro della Evidence Based Medicine anche per valutare gli esiti di patologie croniche, decisamente più complesse nel loro divenire perchè dipendono in modo imponente, tanto per dirne una, dalla risposta del paziente e quindi dal terreno costituzionale di chi è costretto a conviverci per molto tempo. In casi come questi il processo di verifica diventa poco utile, se non addirittura fuorviante, se affrontato con i rigidi dettami della EBM; a maggior ragione nel caso di una disciplina, come l’omeopatia, che fa dell’individualizzazione terapeutica e del miglioramento della qualità di vita nelle cronicità uno dei suoi maggiori punti di forza. Ma tutto questo, per fortuna, i pazienti lo sanno benissimo, mentre attendiamo che qualcuno lo spieghi agli scienziati che vorrebbero scrivere di omeopatia con una competenza spesso vicina allo zero assoluto.

Bibliografia

  1. 1.
    Gartlehner G, Emprechtinger R, Hackl M, et al. Assessing the magnitude of reporting bias in trials of homeopathy: a cross-sectional study and meta-analysis. BMJ EBM. Published online March 15, 2022:bmjebm-2021-111846. doi:10.1136/bmjebm-2021-111846
  2. 2.
    Jureidini J, McHenry L. The illusion of evidence based medicine. BMJ. 2022;376:o702. doi:10.1136/bmj.o702
  3. 3.
    Mathie R, Lloyd S, Legg L, et al. Randomised placebo-controlled trials of individualised homeopathic treatment: systematic review and meta-analysis. Syst Rev. 2014;3:142. doi:10.1186/2046-4053-3-142
Gino Santini
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Direttore dell'Istituto di Studi di Medicina Omeopatica di Roma. Segretario Nazionale SIOMI. Giornalista pubblicista. Appassionato studioso di costituzioni e del genere umano.

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