di Andrea Dei, su “Omeopatia33” dell’8 febbraio 2019
A marzo son venti anni da quando un gruppo di omeopati si riunì a Milano per fondare una nuova società scientifica che chiamarono “Società Italiana di Omeopatia e Medicina Integrata”. Tale società si aggiungeva ad altre preesistenti che si proponevano di rappresentare la cultura di una metodologia terapeutica, cosa che facevano in maniera rispettabilissima, ma a differenza di queste, la nuova società si proponeva statutariamente di rimuovere il vallo che divideva le Medicine Complementari (allora non si diceva così!) dalla cosiddetta biomedicina. C’è da considerare che stante il patto sociale esistente fra l’Istituzione accademica, che garantisce il possesso di una corretta preparazione, e l’Ordine Professionale, che garantisce un corretto comportamento del professionista nei confronti dell’utente della salute, tale rimozione del vallo implicava intrinsecamente il proposito di adoperarsi a favorire la validazione scientifica della diversa metodologia terapeutica. Se si considera la cultura e la letteratura del tempo, il proposito era da ritenersi folle e la sua sola enunciazione garantiva il disprezzo patente sia della comunità accademica che della comunità degli omeopati, che nell’occasione rimuovevano le loro diversità di opinioni sui metodi di cura per promuovere affratellati l’espressione dei loro istinti peggiori. Già perché, la si giri come si vuole, con particolare riferimento polemico ai tanti blateratori di scienza, che tutt’oggi ci gratificano la digestione con improponibili asserti, la validazione scientifica ha il privilegio di non prestarsi a biunivocità.
Al pari della democrazia, il mondo dell’omeopatia ha la pessima caratteristica di essere basato sul dissenso. Questo significa che è pieno di gente che crede che tutti gli altri siano ansiosi di pascersi dei suoi giudizi meditati e incontrovertibili. Questo implica che spesso l’aberrazione sia espressione frequente nelle asserzioni dei seguaci più esuberanti, ma non c’è nulla di male fintanto che si limita a una componente fisiologica. Il problema è che se tali asserzioni vengono adottate e supportate da un gruppo, come purtroppo è successo, la componente fisiologica diventa patologica con nocumento dell’intera comunità che comprende una rilevante componente di gente seria. Così teorie improponibili a partire dalla memoria dell’acqua fino ai biofotoni sono state formulate e non rigettate provocando il discredito di tutta la comunità.
Va dato atto alla SIOMI di non avere mai sposato ne’ giustificato l’aberrazione in tutti i venti anni della sua vita. Nella sua notevole attività di promozione culturale sia di base che di identificazione di temi di avanguardia, che indubbiamente deve essere motivo di orgoglio dei membri del CD e dei soci tutti, la SIOMI scelse l’ormesi come modello per razionalizzare la teoria del simile che caratterizzava la terapia omeopatica. Non era una novità: era già stata proposta un secolo prima, ma accuratamente affossata col trionfo dell’omeostasi e dell’interazione farmaco-recettore. Tuttavia per lo meno permetteva di ottenere dei dati sperimentali sui quali ragionare senza affidarsi ai culti del sacro Graal di stampo hahnemanniano. Anche questa volta gli insulti e gli anatemi del resto della comunità omeopatica piovvero come coltelli, ma i lavori svolti determinando la variazione dei profili genici mostrarono che:
- i farmaci omeopatici anche in soluzione ultradiluita promuovevano una risposta biologica;
- la loro attività a partire da una certa concentrazione non seguiva i canoni della legge della diluizione;
- il substrato biologico rispondeva al farmaco secondo quanto aspettato dal principio dell’ormesi.
Tutto questo è stato confermato dagli studi di Bellare (e poi da altri) che hanno stabilito la presenza di quantità significative (nanomoli/litro) di principio attivo nei medicinali omeopatici anche alle alte diluizioni, come verrà mostrato a Firenze il 15 marzo prossimo (ndr: VIII Convegno Triennale Siomi). Nella stessa sessione Edward Calabrese, che ha avuto il merito di rivalutare l’ormesi e di seguire l’invito della SIOMI a estenderla dalla tossicologia alla farmacologia, proporrà quel disegno di inserire la preconditioning hormesis per aumentare il benessere delle future generazioni e la postconditioning hormesis da sfruttare a livello terapeutico seguendo un modello parallelo a quello sviluppato euristicamente nella letteratura omeopatica. Così, per usare le parole di Luca Poma, che chiuderà la sessione, mostrando come nella comunicazione si possano introdurre gli opportuni contrappesi, come fece Calamandrei nello scrivere la Costituzione, si potrà promuovere quella epidemia di consapevolezza che potrà caratterizzare la medicina del futuro. Chissà se oggi i fondatori sceglierebbero lo stesso nome per la società.
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