I test sierologici per il Covid-19

di Stefano Brillanti, Università di Siena

Nel leggere ed ascoltare le dichiarazioni ed i commenti sembra evidente come la confusione e l’incertezza regni sovrana circa la malattia da infezione Covid-19. Ed anche i politici, indirettamente, si lamentano della mancanza di certezze date dalla scienza. Da medico e ricercatore, mi permetto allora di avanzare e condividere delle considerazioni, cercando di fare alcuni chiarimenti e semplificazioni che, mi auguro, possano essere utili.

L’infezione da SARS-CoV-2, che determina la malattia Covid-19, e’ si nuova, ma non cosi’ nuova da ritenere che il nuovo coronavirus si debba comportare in modo del tutto differente da quanto abbiamo appreso sulla SARS e sulla MERS, entrambe condizioni ben note e sostenute da altri coronavirus, parenti stretti del SARS-CoV-2. Similmente, lascia alquanto perplessi la sterile ed a volte incomprensibile diatriba se sia meglio utilizzare i “tamponi” o i “test sierologici”.

I test che noi abbiamo a disposizione sono di due tipi: (A) test virologici molecolari diretti (PCR), in grado di identificare la diretta presenza del virus che replica nelle mucose del naso e della bocca (marcatori quindi di infezione in atto, i cosiddetti “tamponi”); (B) test sierologici in grado di determinare la presenza di anticorpi (le immunoglobuline), prodotti come difese immunitarie dal nostro organismo nei confronti del virus. I test sierologici quindi, di per se’, non possono essere usati per stabilire la presenza in atto del virus, ma registrano la produzione delle immunoglobuline specifiche rivolte verso il virus.

Proprio a livello dei test sierologici la situazione si complica un po’. Il SARS-CoV-2 presenta infatti diverse sue parti, gli antigeni, che stimolano la risposta immunitaria (antigeni S1, S2, E ed N), ovvero che inducono la risposta immunitaria, costituita dalle immunoglobuline. Le immunoglobuline, poi, sono di diversi tipi (principalmente IgM ed IgG).
La presenza di IgM verso un antigene del coronavirus indica una infezione in atto o recente, poiché le IgM compaiono presto e durano poco nel tempo, mentre la presenza di IgG indica in genere una infezione pregressa e superata, poiché tendono a comparire più tardi nel corso dell’infezione e a durare nel tempo.

Si desume, pertanto, che la presenza di anticorpi non può essere usata in alternativa alla PCR (il tampone), poiché da’ informazioni diverse. Un soggetto IgM positivo dovrà necessariamente essere testato anche con test molecolare (tampone) per determinare se alberga ancora o meno il virus, e quindi se e’ ancora infettivo. Un soggetto IgM negativo ed IgG positivo, invece, se non più sintomatico da almeno 14 giorni, verosimilmente ha superato l’infezione e non alberga più il virus.

Tutto questo ragionamento sui test sierologici presuppone, pero’, di poter disporre di test anticorpali affidabili, ovvero sensibili e specifici. Il business mondiale legato al Covid-19 ha fatto si’ che molte aziende biotecnologiche, piccole e grandi, abbiano messo a punto in fretta e furia dei kit per la determinazione degli anticorpi, disponibili ora in commercio. Come al supermercato vi sono detersivi buoni e meno buoni, cosi’ anche per i test sierologici SARS-CoV-2 esistono kit affidabili ed altri molto meno.

E’ evidente che occorrerebbe un laboratorio nazionale di riferimento, in grado di testare rapidamente i kit e di stabilire in breve tempo quali kit siano affidabili e quali no. Un tempo non lontano, l’Istituto Superiore di Sanità a Roma aveva tali competenze e tali laboratori, ora non so. Non mi meraviglia, pertanto, anche la recente richiesta del ministro Boccia di sapere su quali kit investire risorse pubbliche ed a questa legittima domanda gli esperti e scienziati dovrebbero dare una risposta il più possibile precisa ed argomentata.

Esiste poi un ultimo punto critico, sul quale anche gli esperti OMS sembrano un po’ confusi, ovvero se la presenza di anticorpi conferisca o meno immunità verso Covid-19. Anche qui occorre, verosimilmente, fare riferimento alla SARS ed alla MERS passate ed alla biologia dei coronavirus. Non tutti gli anticorpi sono uguali, non solo perché possono essere di classe IgM o IgG, come abbiamo visto, ma anche perché bisogna sapere verso quali parti del virus (gli antigeni virali) sono prodotti. Per conferire immunità, gli anticorpi prodotti devono essere neutralizzanti, ovvero in grado di legarsi alla superficie del virus ed impedire che si trasmetta tra le cellule. I coronavirus utilizzano un particolare antigene (l’antigene S1) per legarsi ai recettori (ACE-2) presenti sulle cellule umane e diffondersi nei tessuti. La lezione imparata da SARS e MERS fa ritenere che se un soggetto ha livelli medioalti di anticorpi IgG rivolti verso l’antigene S1 del coronavirus, tali anticorpi conferiscano immunità e lo proteggano da una reinfezione. Lo stesso non vale per la presenza di anticorpi diretti verso altri antigeni del coronavirus. Pertanto, per parlare del cosiddetto patentino di immunità, occorre poter disporre di test sierologici sensibili e specifici in grado di effettuare la determinazione quantitativa degli anticorpi IgG diretti verso l’antigene S1 del coronavirus. E’ evidente che la materia e’ complessa, ma proprio per questo occorre semplificarla, facendo tesoro di quanto abbiamo imparato dalle precedenti infezioni da coronavirus.

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