COVID-19 e trombosi: il mistero s’infittisce

di Cassandra Willyard, su “Le Scienze” del 13 maggio 2020 – LINK

La formazione di trombi è una complicanza letale in una buona percentuale di coloro che si ammalano gravemente di COVID-19. Alcuni studi stanno iniziando a chiarire i meccanismi alla base di questa correlazione, ma la strategia terapeutica giusta per una guarigione è ancora lontana.

Eruzioni cutanee bluastre, gambe gonfie, cateteri ostruiti e morte improvvisa. Coaguli di sangue, grandi e piccoli, sono una complicazione frequente di COVID-19, e i ricercatori stanno appena iniziando a scoprirne il motivo.

Per settimane, si sono accumulati i resoconti degli effetti della malattia su tutto il corpo, molti dei quali sono causati da trombi. “È come una tempesta di coaguli di sangue”, dice Behnood Bikdeli, un borsista di cardiologia del quarto anno della Columbia University di New York City. Chiunque abbia una malattia grave è a rischio di sviluppare trombi, ma i pazienti ricoverati affetti da COVID-19 sembrano essere più esposti.

Studi condotti nei Paesi Bassi e in Francia suggeriscono che i trombi compaiono nel 20-30 per cento dei pazienti con COVID-19 gravemente malati 1,2. Gli scienziati hanno alcune ipotesi plausibili per spiegare il fenomeno, e stanno appena iniziando le ricerche di indizi sui meccanismi del fenomeno. Ma con l’aumento del numero di morti, si stanno anche affannando a testare farmaci che riducano la coagulazione.

Doppio attacco
I coaguli di sangue, o trombi – grumi gelatinosi di cellule e proteine – sono il meccanismo che l’organismo utilizza per fermare l’emorragia. Alcuni ricercatori considerano la coagulazione come una caratteristica chiave della COVID-19. Ma non è solo la presenza dei trombi a lasciare perplessi gli scienziati: è anche il modo in cui si manifestano. “Ci sono molte cose un po’ insolite nel modo in cui si presentano”, dice James O’Donnell, direttore dell’Irish Centre for Vascular Biology del Royal College of Surgeons di Dublino.

Nei malati di COVID-19 gli anticoagulanti non impediscono la coagulazione in modo affidabile, e i giovani muoiono per gli ictus causati dai blocchi nel cervello. Molti dei pazienti ricoverati, inoltre, hanno livelli decisamente elevati di un frammento proteico chiamato D-dimero, che si genera quando un trombo si scioglie. Alti livelli di D-dimero sembrano essere un potente predittore di mortalità nei pazienti ospedalizzati infettati dal coronavirus.

I ricercatori hanno osservato minuscoli coaguli anche nei vasi più piccoli del corpo. Jeffrey Laurence, un ematologo della Weill Cornell Medicine di New York City, e i suoi colleghi hanno esaminato campioni polmonari e cutanei di tre persone infettate da COVID-19 e hanno scoperto che i capillari erano ostruiti da coaguli. Altri gruppi, tra cui un team guidato da O’Donnell, hanno riportato risultati simili. “Non è quello che ci si aspetterebbe di vedere in una persona che ha solo una grave infezione”, dice. ” È davvero una novità assoluta”. Il fenomeno potrebbe aiutare a spiegare perché alcune persone hanno livelli di ossigeno nel sangue estremamente bassi e perché la ventilazione meccanica spesso non è d’aiuto. È un “doppio attacco”, dice O’Donnell. La polmonite ostruisce le minuscole sacche nei polmoni con liquidi o pus, e i microtrombi impediscono al sangue ossigenato di muoversi attraverso di essi.

Impatti virali
Il perché di questa coagulazione è ancora un mistero. Una possibilità è che SARS-CoV-2 attacchi direttamente le cellule endoteliali che rivestono i vasi sanguigni. Le cellule endoteliali ospitano lo stesso recettore ACE2 che il virus utilizza per entrare nelle cellule polmonari. E ci sono prove che le cellule endoteliali possono essere contagiate dal virus: ricercatori dell’Ospedale Universitario di Zurigo in Svizzera e del Brigham and Women’s Hospital di Boston, in Massachusetts, hanno trovato SARS-Cov-2 nelle cellule endoteliali all’interno del tessuto renale.

In individui sani, il vaso sanguigno è “un tubicino molto liscio”, dice Peter Liu, direttore scientifico dell’University of Ottawa Heasirt Institute. Il rivestimento impedisce attivamente la formazione di coaguli, ma l’infezione virale può danneggiare queste cellule, inducendole a produrre proteine che innescano il processo.

A influenzare la coagulazione potrebbero essere anche gli effetti del virus sul sistema immunitario. In alcune persone, il COVID-19 induce le cellule immunitarie a rilasciare un flusso di segnali chimici che aumenta l’infiammazione, che è legata alla coagulazione e alla formazione di trombi con diversi meccanismi. E il virus sembra attivare il sistema di complemento, un meccanismo di difesa che fa scattare la coagulazione. Il gruppo di Laurence ha scoperto che i piccoli vasi ostruiti nei tessuti polmonari e cutanei delle persone con COVID-19 erano costellati di proteine del sistema di complemento. Tutti questi sistemi – complemento, infiammazione, coagulazione – sono correlati tra loro, dice Agnes Lee, direttore del programma di ricerca ematologica dell’Università della British Columbia a Vancouver, Canada. “In alcuni pazienti con COVID, è come se tutti questi sistemi avessero messo il turbo”.

Ma Lee aggiunge che potrebbero esserci altri fattori in gioco che non sono specifici di COVID-19. I malati di COVID-19 ricoverati in ospedale tipicamente hanno una serie di fattori di rischio per la trombosi. Possono essere anziani o in sovrappeso e avere la pressione alta o il diabete. Si presentano con febbre alta e, poiché sono gravemente malati, è probabile che siano stati immobilizzati. Potrebbero avere una predisposizione genetica alla coagulazione o assumere farmaci che aumentano il rischio. “È una specie di tempesta perfetta”, dice.

La corsa a nuove terapie
Mentre si inizia a capire come si verifica la trombosi nelle persone con COVID-19, si sta anche cercando di testare nuove terapie per prevenire e sciogliere i trombi. I farmaci anticoagulanti sono la cura standard per i pazienti in terapia intensiva, e quelli con COVID-19 non fanno eccezione. Ma il dosaggio è oggetto di un acceso dibattito. La domanda ora è “quanto dovremmo essere aggressivi?” dice Robert Flaumenhaft, capo della divisione di omeostasi e trombosi del Beth Israel Deaconess Medical Center di New York. Alcuni ricercatori della Mount Sinai School of Medicine, sempre a New York, hanno riferito che i pazienti ricoverati con COVID-19 sottoposti a ventilazione meccanica che avevano ricevuto gli anticoagulanti hanno avuto una mortalità inferiore rispetto a quelli che non sono stati trattati con quei farmaci. Ma il team non poteva escludere altre spiegazioni per l’osservazione, e alte dosi di questi farmaci comportano dei rischi.

Alla Columbia University di New York, i ricercatori stanno lanciando uno studio clinico per confrontare le dosi standard di anticoagulanti con una dose più alta in persone gravemente malate di COVID-19. Sperimentazioni simili sono previste in Canada e in Svizzera. E gli scienziati del Beth Israel Deaconess Medical Center hanno iniziato a reclutare soggetti per uno studio clinico per valutare un farmaco ancora più potente che previene i trombi, chiamato attivatore del plasminogeno tissutale, o tPA. La sostanza è più potente, ma comporta maggiori rischi di gravi emorragie rispetto agli anticoagulanti.

Gli scienziati sperano che questi e altri studi forniscano i dati necessari per aiutare i medici a prendere decisioni terapeutiche difficili. Lee è preoccupato per la quantità di “medicina reattiva” che sta emergendo. “Le persone stanno cambiando il loro approccio terapeutico in reazione alla loro esperienza locale e personale”, dice. Comprende l’impulso, “ma dobbiamo ricordare che il precetto fondamentale è primum non nocere“. 

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Nature” l’8 maggio 2020.

Gino Santini
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Direttore dell'Istituto di Studi di Medicina Omeopatica di Roma. Segretario Nazionale SIOMI. Giornalista pubblicista. Appassionato studioso di costituzioni e del genere umano.

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