Come finisce una pandemia?

di Linda Variese, da “Huffington Post” del 20 maggio 2020 – LINK

Il New York Times dice che c'è una fine "medica" e una fine "sociale" della pandemia. E che spesso non vanno di pari passo. Intervista HuffPost al prof. Gilberto Corbellini: "Il Covid-19 non ha niente a che vedere con le pandemie del passato. La percezione della paura nella gente non è mai stata alta"

Come finisce una pandemia? Quando, in altre parole, si può pensare davvero di tornare alla normalità come la intendiamo? Alle domande che, con la fine del lockdown e le recenti riaperture, tutti ci stiamo ponendo, hanno provato a rispondere alcuni storici della Medicina in un interessante articolo apparso di recente sulle colonne del New York Times. Dalle parole degli esperti, oltre alla ricostruzione storica di alcune delle più grandi pandemie del passato, emerge un interessante punto di vista che tende a distinguere fra una fine “medico-scientifica” del virus e una fine “sociale”. In altre parole, anche laddove non arrivi la notizia ufficiale della fine della pandemia dalla comunità scientifica internazionale, le persone avvertirebbero una stanchezza e un bisogno di riprendere la propria quotidianità che porterebbe automaticamente a non avvertire più né rischio né paura e di conseguenza a vivere come se la pandemia fosse finita, sebbene il virus circoli ancora.

Uno spunto affascinante di cui abbiamo discusso con il professor Gilberto Corbellini, Professore ordinario di storia della medicina presso l’Università La Sapienza di Roma.

Sta succedendo questo anche in Italia?

Sono scettico su questa lettura perché il fatto che un’epidemia possa spegnersi socialmente, cioè terminare perché la società a un certo punto decide di ignorare la minaccia, vale soltanto quando questa minaccia non è più percepita. Non esiste nella storia della medicina nessun caso di epidemia o pandemia che si siano “chiuse socialmente”in un momento in cui c’era un’alta mortalità e le persone avevano paura di morire. E’ chiaro che di fronte al lockdown e a tutti i disagi, di fronte al fatto che la mortalità non è così alta da arrivare alla percezione comune, possa verificarsi un abbassamento della percezione di rischio. E questo forse è il caso di Covid-19.

Sta dicendo che il Coronavirus non faceva paura neanche quando faceva paura?

Parliamoci chiaro, nel mondo siamo arrivati se non sbaglio a 320 mila decessi da Covid-19. Nello stesso lasso di tempo, l’influenza Spagnola del 1918 ne aveva ammazzati già diversi milioni. Quindi è chiaro che la percezione di questa infezione nella società è legata alla comunicazione, al numero trasmesso in televisionedi morti che scatena l’emotività, ma che non è un numero abbastanza alto da far sì che le persone nella maggioranza conoscono qualcuno che è morto o che di questa malattia abbiano paura. Un altro dato oggettivo, infatti, è che il covid uccide in prevalenza persone anziane che ci si aspetta che muoiano e quindi se parliamo di un’ipotesi di fine sociale è chiaro che la società non ha degli stimoli di rischiosità che siano tali da non dar spazio al desiderio di far finta di niente e di ripartire e andare oltre. Si è diffusa all’inizio una paura ingiustificata, sulla scia dell’emotività suscitata dalla comunicazione. E’ stato il virus più mediatizzato della Storia della Medicina. Se c’è una cosa di cui si può star certi è che questo virus non rappresenta una minaccia per la specie, come qualcuno ha dettoQuando guardo i numeri, mettiamo anche che siano 100 milioni di contagiati, mi viene da pensare: per l’Asiatica nel 1958, abbiamo avuto tra uno e tremilione di morti, con oltre 500 milioni di casi.

Si poteva fare a meno di questo terrore?

Il rituale delle 18, numeri che parlano del nulla per spiegare il nulla, non ha fatto altro che accrescere la tensione sociale. Una gestione tra il terroristico e il paternalistico. Se questo virus non avesse fatto morire le persone dentro ai reparti e nelle terapie intensive e non avesse avuto questo impatto incredibile sul Ssn ce ne saremmo accorti, ma neanche tanto. Se avesse fatto il suo salto di specie nel 1920, non se ne sarebbe accorto nessuno perché la terapia intensiva non c’era, le persone di 75 anni e oltre con patologie pregresse sarebbero morte e basta. Guardiamo a come sono state affrontate altre grandi pandemia nella storia. Quando nel 1889 ci fu la pandemia russa che uccise 1 milione circa di persone, in prevalenza bambini e anziani, non suscitò grande paura: era normale in quell’epoca vedere morire i più piccoli, la mortalità infantile era molto alta, allo stesso modo gli anziani erano esposti. Differente il caso della Spagnola.

Ci dica.

La spagnola spaventò perché uccideva i giovani-adulti, il virus scatenava tempeste citochinichein persone con sistema immunitario robusto. E vedere persone di 25-30 morire era uno shock sociale spaventoso. Come se vedessimo oggi morire ragazzini di 18 anni. Ecco. Questo shock non c’è stato per il Covid-19. Per questo la paura e la percezione della minaccia non è così alta. E’ anche possibile che a un certo punto siano stati eliminati, con grande dispiacere e tristezza, s’intende, quei soggetti più a rischio e che quindi adesso i pazienti sviluppino una malattia meno grave, come qualcuno diceperché ci sono meno polimorbidità, non sono così tanti anziani perché questi tengono le distanze o sono degli anziani più in salute. 

Eppure molte persone dopo la recente riapertura, faticano a riprendere la vita di tutti i giorni. Quale sarà il decorso, anche guardando alle riprese dopo le pandemie del passato? Si può fare un confronto?

Sul piano delle dinamiche socio-economiche qualche minimo confronto si può azzardare. Premessa. Noi abbiamo una risposta psicologica innata verso le epidemie e le pandemie: ci terrorizzano e scatenano una serie di reazioni che escono da qualsiasi controllo razionale. In questa situazione di paura che ormai circola, si crea un’ambivalenza nelle persone: da una parte un sentimento di pessimismo sullo scenario generale, si ha paura che l’epidemia riprenda o sia ha paura per il futuro. Ma sul piano individuale tendiamo ad essere ottimisti, pensando che in qualche modo ce la faremo sempre, per questo prendiamo anche più rischi di quelli che dovremmo. Tendiamo a uscire delle regole: questo è un fattore che influenzerà nei prossimi mesi le dinamiche epidemiologiche anche rispetto alla circolazione del virus.

L’unico esempio che si può fare con le epidemie del passato è con la spagnola: nessuno sa perché si è spenta la spagnola, la ragione più probabile è che sia venuto fuori un ceppo virale meno virulento che prevalse su altri ceppi virali e che portò allo spegnimento di questa influenza da H1N1.  H1N1 è andato sottotraccia, mai dando sfogo a manifestazione pandemiche fino agli anni ’70 e poi al 2009, quando l’Oms dichiarò una pandemia (suina) che non si verificò mai. 

Come finirà la pandemia?

Non lo so. Di base la pandemia finisce con l’adattamento reciproco tra virus e specie ospite. Il mondo umano è estremamente capace di adattarsi: se è vero che le forme che manifesta questa malattia adesso sono più lieviforse è anche perché i medici hanno imparato a curarle meglio, o il carico virale è inferiore grazie alle mascherine e al distanziamento. Di sicuro non ci sono prove che il virus sia cambiato al punto da far ritenere che abbia perso virulenza. Può darsi che accada. Ma al momento non ci son prove. Cipossiamo aspettare che piano piano la pandemia si spenga o mantenga focolai minori in Paesi con condizioni favorevoli al virus, temo per l’Africa o il Sud America. Possiamo sperare, poi, che attraverso la ricerca farmacologica e del vaccino venga fuori qualcosa che ci faccia vincere definitivamente. Ma se mi chiede cosa accadrà non lo so: potrebbe spegnersi come tornare con scenari peggiori.

Ha parlato però di adattamento dell’uomo al coronavirus, che è come dire imparare a convivere con il virus, non averne paura, tornare alla vita, come ipotizza il New York Times… 

E’ come dire fare come hanno fatto alcuni Paesi dall’inizio: non ricorrere a un lockdown così restrittivo come è stato fatto in Italia, ma raccomandare il distanziamento fisico e abbassare il metabolismo economico, ridurne il regime di funzionamento senza spegnerlo, ripartendo nel momento in cui l’emergenza l’ha consentito. Non penso solo alla Svezia, ma anche alla Germania, alla Svizzera. Noi in Italia ci siamo fatti dettare l’agenda dal virus e dalle condizioni del sistema sanitario, mettendo in atto misure di 100 anni fa. Come in tutte le epidemie e delle pandemie dove non si hanno metodi medici efficaci, farmaci e vaccini a disposizione, l’unico sistema da usare è quello storico, arcaico, indice di ignoranza che si chiama ‘quarantena’. E’ la cosa più facile di questo mondo: prendi le persone, le chiudi dentro casa, ne impedisce i contatti e fermi l’epidemia. Ma cosa succede all’economia? Cosa succede quando escono e il virus continua a circolare?Cosa succede nella percezione di chi deve governare e fare in modo che le attività economiche vadano a sostenere il Pil? Cosa succede nella percezione delle persone che non si possono muovere liberamente?

Però in Svezia ci sono stati moltissimi morti. Prima di noi in Cina, in Corea del Sud, il lockdown totale ha dato ottimi risultati in termini di contenimento del contagio...

Tanti morti in Svezia? La Svezia ha calcolato il rischio e adottato misure sulla base delle prove di efficacia, rifiutandosi di militarizzare il paese, trattando le persone come cittadini e non come sudditi. La Svezia ha una scuola di epidemiologia di tutto rispetto, che non sfigura con quelli dell’Imperial College. Che peraltro si sono rivelati dei gran pasticcioni. Quella svedese è stata una gestione razionale e non impulsiva, come quella italiana.  Le prove che avevano a disposizione dicevano che era molto più saggio andare in quella direzione, rischiando di pagare con un certo numero morti, che sono stati più di quelli che si aspettavano e lo hanno riconosciuto. Sono anche intellettualmente più onesti dei nostri politici ed esperti. Hanno valutato che i danni sarebbero stati maggiori a trovarsi nella condizione di avere un lockdown dopo l’altro e strozzarsi davanti a un virus che peraltro ancora non si capisce quale letalità abbia davvero. In questa prima ondata questo virus, probabilmente ha avuto questa letalità perché ha contagiato e si è portato via le persone più a rischio, nella seconda, se ci sarà, potrebbe averne di meno.

Navighiamo a vista.

Non ci sono prove che andando in una direzione si vada bene. Le politiche adottate sono state diverse nei diversi Paesi. Qualcuno l’ha voluto ignorare come Bolsonaro, in altri si è adottata la strategia della convivenza come gli svedesi, la Germania ne ha usate altre, l’Italia altre ancora, Cina e Singapore altre ancora. Vedremo come nei prossimi mesi le diverse risposte sociali daranno vita a dinamiche diverse non solo per quanto riguarda la ripresa economica, ma anche l’orientamento politico nei diversi paesi. 

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