di Paolo Bellavite
Ho sentito ieri l’intervista al direttore dell’Agenzia Europea del Farmaco, che gettava acqua sul fuoco rispetto alle sperimentazioni sui medicinali anti-covid-19, chiedendo studi rigorosi di efficacia prima di cantare vittoria. Benissimo, giusto.
Ho sentito anche un noto virologo dire che i vaccini sarebbero meglio del plasma di convalescenti perché “è meglio insegnare a pescare che dare il pesce…” e che la difterite e il tetano sono stati debellati grazie ai vaccini (cosa peraltro non vera, come ho già spiegato su queste e altre pagine).
Si moltiplicano le dichiarazioni che un vaccino potrebbe essere pronto per la distribuzione nel 2021. Non sto qui a discutere i motivi per cui, mentre mi associo a chi auspica di avere un vaccino efficace e sicuro quanto prima, non ho alcuna fiducia che tale speranza possa realizzarsi.
Neppure sto qui a discutere i motivi per cui se si facesse uno studio di confronto “open” tra vaccinati e non vaccinati io mi offrirei per far parte del secondo gruppo.
Qui ribadisco solo due aspetti fondamentali della questione del vaccino, riguardanti efficacia e sicurezza.
- Un vaccino, qualsiasi vaccino, può essere approvato per la somministrazione al pubblico solo dopo studi preclinici (su cellule e animali) e 3 fasi di studi clinici. La FASE 3 delle prove cliniche pretende prova di efficacia e sicurezza da un confronto rigoroso tra gruppi di migliaia di soggetti vaccinati e non vaccinati. Non basta dire che il vaccino ha fatto sviluppare gli anticorpi ai volontari: non è detto che gli anticorpi vaccinali funzionino nella “vita reale”. LINK
- La “sicurezza” del vaccino (reazioni avverse acute e croniche) DEVE essere valutata ANCHE mediante studi di fase 4, cioè su gruppi ancora più grandi di cittadini vaccinati. Infatti, gli studi di fase 3 non sono in grado di prevedere gli effetti avversi rari, che “compaiono” statisticamente solo in questa fase, sempre ammesso che i sistemi di vigilanza siano in funzione.
Ecco perché l’ISS stima che i tempi di realizzazione di un vaccino normalmente siano di 10 anni. Certo, si possono accorciare le tappe o persino saltarle in caso di urgenza, come sta avvenendo ora, in cui si fanno studi di fase 1, o si può inventare la nuova dizione “fase 1/2” che comprime ancora i requisiti, senza adeguati studi pre-clinici. Ma siamo comunque MOLTO indietro coi tempi. Non si può e non si deve saltare la fase 3 per la commercializzazione, né la fase 4 per la valutazione della sicurezza.
Chi fomenta l’”ansia vaccinale” e cerca di accorciare i tempi si trova ormai con pochi argomenti validi in pentola. Infatti, è evidente o persino ovvio che, man mano diminuisce il “dramma” dell’epidemia (conoscenza dei modi di contagio, efficace prevenzione a prescindere dal vaccino, efficaci test diagnostici, migliori cure), deve diminuire la fretta del vaccino.
Infine dev’essere a tutti, in primis ai politici dall’obbligo facile: ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione – sempre che questo libretto abbia ancora un senso nella società italiana – non è possibile immaginare un eventuale obbligo o ricatto (il ricatto è una forma surrettizia di obbligo) di un intervento intrusivo sul corpo di una persona umana sana in assenza di motivi REALI di necessità e di studi ATTENDIBILI di fase 4. Quanto a tale attendibilità dei metodi di rilevazione delle reazioni avverse, ho scritto in un recente lavoro pubblicato da una rivista scientifica internazionale, che ho già citato in queste pagine.
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