di Andrea Dei, su “Omeopatia33” del 26 febbraio 2016
Nei prossimi giorni si svolgerà Il VII Convegno Nazionale della SIOMI (a Firenze, dal 4 al 6 marzo) e in tale ambito sono stato invitato a tenere la conferenza di apertura riprendendo un tema, Il limite della Scienza Normale, che già avevo trattato molti anni fa in occasione di un evento analogo.
Il punto di partenza della mia presentazione sarà la discussione dell’articolo “A Gentle Ethical Defence of Homeopathy” di Levy, Gadd, Kerridge e Komesaroff che, apparso nel 2015 sul Journal of Bioethical Inquiry, ha suscitato un torrente di critiche in ambito internazionale, ma non è stato considerato sulle pagine di questo giornale.
Come si può evincere dal titolo, il lavoro è mirato a difendere la categoria dei medici omeopati dall’accusa di immoralità che viene talvolta portata loro dai sostenitori della biomedicina o medicina occidentale ortodossa. Come ho sostenuto tanti anni fa, è un argomento di litigata da taverna quando si comincia a intravedere il fondo del fiasco.
Aggiungo che, grazie al Concilio di Trento, il soggetto non tocca un granché le coscienze dei cattolici, ma che può costituire argomento di rilevanza nel mondo protestante, come ebbe già a sottolineare Max Weber. Quello che stupisce, piuttosto, sono le argomentazioni contenute nell’articolo, argomentazioni peraltro che caratterizzano purtroppo anche i “tenet” di molti omeopati nostrani. Nel lavoro infatti si sostiene con tono vezzeggiativo che l’omeopatia non è caratterizzata da un supporto evidence-based, come dovrebbe essere, ma al di là di questo non trascurabile fondamento, non è detto che la mancanza di una dimostrazione di efficacia equivalga alla dimostrazione di una mancanza di efficacia. Di fatto i risultati mostrano che la terapia è gradita dal rilevante numero dei pazienti che scelgono di adottarla, indicando che la gran parte dei medici che la utilizzano operano con coscienza, integrità morale e professionalità (sic).
A dispetto degli zirli di esultanza e di supporto all’articolo espressi dal mondo dell’omeopatia e delle feroci critiche del mondo contrapposto, la prima considerazione che viene alla mente è la seguente: la fregola, che ha le sue radici nell’ostensibile timore di andare all’inferno per comportamento immorale, non può costituire argomento di farneticazione e danneggiamento dei propri colleghi in primis e del proprio mondo. Quello che si evince piuttosto è l’indigenza culturale degli autori che, invece di sottolineare la pesante dicotomia di tipo erklaren-verstehen (spiegare-comprendere) esistente fra i due metodi terapeutici, si rifanno per motivi di necessità di purezza interiore a sovrapporre e commensurare la propria disciplina con l’altrui scegliendo il campo avversario. La sconfitta con perdite in questo caso è sicura. Ma il rispondere alla domanda da terza elementare, che peraltro costituisce la ragione di esistenza della SIOMI, “La medicina si deve caratterizzare per il proprio metodo o per il suo campo di applicazione? ”, agli autori non è passato per la mente.
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