di Stefano Magni, su “Bussola quotidiana” del 30 aprile 2020 – LINK
Tutti a casa, anche dopo il 4 maggio, ci chiediamo come mai il governo abbia cambiato idea rispetto alle previsioni di riapertura. Se la “Fase 2” sembra nient’altro che una prosecuzione della Fase 1 (con qualche regola in più) è soprattutto grazie a un documento, presentato al governo Conte dal Comitato tecnico scientifico, che ieri è stato pubblicato da Repubblica. Da questo studio si prevede che, in caso di ritorno alla vita normale e di riapertura di tutte le attività, circa 151mila italiani finirebbero in terapia intensiva entro la metà di giugno e chiaramente non vi sarebbero abbastanza posti negli ospedali italiani, neppure in tutti quelli europei che si rendessero disponibili. Se fosse vero, sarebbe la dimostrazione del fallimento della politica del governo Conte. Perché vorrebbe dire che, a questo punto, la strage per coronavirus è stata solo rinviata di due mesi (e a che prezzo!). Ma c’è un’altra possibilità: che la previsione sia sbagliata.
Attenzione ai numeri: in Lombardia, durante il picco dei contagi erano in terapia intensiva 1381 pazienti malati di Covid-19. Una previsione di 151mila malati che necessitano della terapia intensiva nel prossimo mese e mezzo, vuol dire 100 volte tanto. Attenzione anche alle circostanze: prima che si raggiungesse il picco, gli italiani raramente portavano la mascherina e rispettavano il distanziamento di oltre un metro. Quindi, come è possibile che, adesso, con tutto quel che abbiamo imparato, con tutte le regole che ci saranno ancora imposte dopo la riapertura delle attività commerciali (maschere, guanti, distanziamento) si arrivi ad avere 151mila malati in terapia intensiva in appena un mese e mezzo?
Molto semplicemente, i calcoli potrebbero essere sbagliati. Non c’è una certezza matematica nei modelli matematici con cui si fanno le proiezioni. Secondo una contro-analisi pubblicata da Holding Carisma, il Comitato tecnico scientifico ha semplicemente fatto male i conti. Holding Carisma, specificando che il suo intervento è solo una voce nel dibattito statistico, giunge ad alcune conclusioni sconcertanti. Come: “… applicando l’esperienza di incidenza della terapia intensiva in Lombardia di cui sopra, e utilizzando i parametri molto conservativi del Comitato tecnico scientifico, si arriva a sostenere che partendo dal dato consuntivo in Lombardia (0,1% al picco) esisterebbero in Italia 150 milioni di cittadini (151k/0,1%) con età superiore a 20 anni perché come noto sotto tale età l’incidenza della terapia intensiva è trascurabile. Vorremmo conoscere subito i 100 milioni di connazionali a noi ignoti” (corsivo nostro). E inoltre “Calcolando il dato complessivo e stimando che le persone che sono stati in terapia intensiva in Lombardia siano finora a circa 3.500 in totale (dato non comunicato ma probabilmente sovrastimato) con una incidenza di 0,17% sul totale casi in Lombardia si arriva a una stima di popolazione italiana di di 260 milioni di abitanti (440k/0,17% – calcolato sempre con i parametri Comitato tecnico scientifico). Anche in questo caso vorremmo conoscere i 200 milioni di connazionali a noi ignoti” (sempre corsivo nostro).
Non è un problema solo italiano, anche se mal comune non necessariamente è mezzo gaudio. Secondo BennyPeiser e Andrew Montford rispettivamente direttore e vicedirettore del Global Warming Policy Forum, anche le ultime decisioni del governo conservatore britannico (intensificazione del lockdown) sarebbero state fortemente influenzate da un modello matematico: dalle previsioni catastrofiche dell’Imperial College, secondo cui, senza lockdown si sarebbero rischati dalle 250mila alle 510mila vittime di Covid-19. Ebbene, un’altra squadra di ricercatori, stavolta dell’Università di Oxford, è giunta, con una sua previsione, a risultati completamente differenti e molto meno drammatici. «Con molta probabilità entrambe le squadra avranno torto», commentano i due autori. Sull’Imperial College, diversi ricercatori britannici hanno chiesto di vedere i calcoli, ma il professor Neil Ferguson (attualmente ammalato di Covid-19 e in quarantena), che guidava la ricerca, ha risposto sostenendo che fosse troppo difficile individuare eventuali errori, per motivi essenzialmente tecnici.
L’errore è possibile, anche all’Imperial College. È possibile ovunque, soprattutto in un periodo in cui le analisi devono essere prodotte in fretta, per aiutare a prendere decisioni politiche in situazione di emergenza, senza il tempo normalmente necessario per effettuare controlli incrociati. E la materia non si presta all’analisi, perché stiamo parlando pur sempre di un virus nuovo, di cui fino a quattro mesi fa non si conosceva neppure l’esistenza. Sta diventando abbastanza evidente, ad esempio, la differenza fra previsioni e realtà in Svezia, ormai uno dei pochi Paesi in Europa che non ha mai applicato misure di lockdown. La stima del centro di ricerca britannico prevedeva fino a 18 morti al giorno ogni 100mila abitanti, nel momento di picco, in caso di assenza di misure di lockdown. Nel peggiore dei casi possibili, calcolava 65mila vittime in Svezia. Attualmente le vittime di Covid-19 nel Paese scandinavo sono invece 2462 (al 29 aprile) e la media giornaliera è di meno di 2 morti ogni 100mila abitanti. E senza lockdown.
Quasi a giustificazione delle scelte del governo Conte, si vuole dimostrare a tutti i costi che sbaglia chiunque decida di riaprire. Adesso, tanto per cambiare, si parla di un “pentimento” della Germania, Paese che dal 20 aprile ha ricominciato ad autorizzare numerose riaperture e non ha mai avuto regole di lockdown rigide e uniformi come quelle italiane. Il ministro della Sanità, Roberto Speranza, ha subito parlato di aumento dei contagi in Germania. Le sue dichiarazioni sono state seguite a ruota, quasi senza critiche, da tutti i media nazionali. Ma è vero? In Germania c’è un aumento di contagi? Per vederlo occorre sapere quante persone possono essere contagiate da un infetto. Questo numero è il “numero di riproduzione di base” (R0). Secondo i dati del Robert Koch Institute, l’R0 all’inizio di marzo era di 3 (quindi ogni infetto contagiava, potenzialmente, 3 persone), poi si è stabilizzato intorno a 1 dal 22 marzo, è leggermente aumentato dal 3 aprile e il 4 aprile era pari a 1,2. Dal 7 al 14 aprile andava da 1,3 a 1. Il 15 era 0,9, il 16 e 17 era 0,7, il 18 e 19 0,8 e dal 20 al 26 aprile era 0,9. Il 27 era tornato a 1 e il 28 aprile (ultimo dato disponibile quando questo articolo va online) era di nuovo 0,9. Non sembra proprio un aumento dei contagi dopo la riapertura. A parte qualche piccola variazione, la situazione appare stabile dopo il 15 aprile, soprattutto considerando che l’R0 è una stima, con un margine di confidenza del 95%. Quindi vuol dire che 0,9 può essere da 0,7 a 1. Si può parlare di tendenza al peggioramento se si registrano variazioni sensibili, superiori al margine di confidenza e soprattutto per più giorni di fila, non in un solo giorno. In sintesi: no, almeno finora non c’è alcun aumento dei contagi in Germania, neanche dopo la riapertura.
Sarebbe un dibattito quasi divertente e comunque riservato ai soli addetti ai lavori, se non fossimo tutti appesi a questi modelli matematici. Se i ricercatori che hanno accesso al governo e alla stanza dei bottoni possono dire, con un grafico, che non si può uscire, noi siamo obbligati, per legge, a tenere chiuse: chiese, scuole, università, negozi, barbieri, estetisti, bar, ristoranti, alberghi, luoghi di svago come cinema e teatri, non possiamo uscire di casa senza giustificazione scritta e provata, non possiamo uscire dal comune, né tantomeno dalla regione, non possiamo fare sport che non sia individuale (per non più di 40 minuti), non possiamo andare al mare (a meno che la spiaggia sia a meno di 200 metri da casa), non possiamo andare a trovare altri che non siano parenti e “congiunti”. Una vita da inferno, quantificata solo parzialmente dalla prossima recessione economica, viene decretata da un calcolo che potrebbe essere sbagliato. E che molto probabilmente lo è.
I modelli matematici sono uno strumento di lavoro, non sono un oracolo. Lo si deduce anche da quel che si legge nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera da Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Oms. «Se non lo conoscete (il coronavirus, ndr) come potete prevederne le mosse servendovi dei modelli matematici?», chiede la giornalista Margherita De Bac. E Guerra risponde: «È l’unico strumento. Man mano che procedono le conoscenze, i modelli vengono perfezionati e infatti adesso, dopo un’iniziale differenza, c’è una progressiva convergenza di tutte gli studi di simulazione internazionali che però lavorano basandosi su un denominatore fittizio». Fittizio, perché non conosciamo il numero esatto dei positivi. «Il vero denominatore sarà frutto dell’indagine sierologica che darà ai modelli aderenza alla realtà». Indagine che però, in Italia, non è ancora stata condotta. L’incertezza è massima, pare di sentire la battuta di Corrado Guzzanti, quando interpretava il santone da strada che venerava l’idolo Quelo: “La risposta è dentro di te. E però è sbagliata”.
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