di Andrea Dei, su “Omeopatia33” dell’11 ottobre 2019
E’ uscito in questi giorni, preceduto da un battage adeguato con tanto di presenza in televisione a “Che tempo fa”, il libro di Roberto Burioni “Omeopatia: bugie, leggende e verità”, edito da Rizzoli. Il libro segue cronologicamente quello di Garattini del 2015 intitolato “Acqua fresca?”, edito da Sironi, che conteneva una serie di monografie dei suoi collaboratori che nelle intenzioni di chi le aveva redatte dimostravano l’inconsistenza della terapia omeopatica.
Tenuto conto del conflitto di interessi nel quale si trova perennemente una istituzione privata prestigiosa come il Mario Negri, quest’ultima pubblicazione, purtroppo deficitaria nei contenuti e un po’ tirata via nella forma, poteva essere giustificata dal desiderio di provare a portare acqua al mulino della casa madre. L’intendimento denigratorio di Burioni, giunto alla notorietà per l’uomo della strada per la sua crociata pro-vaccini, è similare e viene espresso coi consueti toni accesi e virulenti che caratterizzano l’espressione di cotale uomo di scienza. Con questo nulla di male, l’esuberanza fa parte del suo modo di essere: il libro è scritto molto bene, è piacevolissimo da leggere e mi dispiace sinceramente di non aver conosciuto l’autore quando ho scoperto che aveva lavorato a San Diego nello stesso periodo che io lavoravo a un chilometro da lui. Ma se nel caso dei vaccini la questione poteva limitarsi a una polemica con altri virologi di grande rilievo, come per esempio Giulio Tarro, purtroppo nel caso dell’omeopatia rischia di tramutarsi in un clamoroso autogol, che ha conseguenze non lievi.
Chi scrive non è un medico, ma un professore di Chimica Generale, che negli ultimi anni della sua attività di ricerca ha coordinato una serie di studi sui farmaci ad alta diluizione in gran parte svolti presso il Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Firenze. Tali studi sono pubblicati, sono citati e sono stati svolti in parallelo con quelli di altri ricercatori che operano in laboratori internazionali. Per usare le parole di Roberto Burioni (“solo chi ha studiato può permettersi di discutere con me: la scienza non è democratica”), su molti aspetti non specificatamente medici mi sento di discutere con lui e tranquillamente, per quello che riguarda le mie competenze, di insegnargli diverse cose che lui, come mostra nel suo libro, è lungi dal conoscere. Anche perché dichiararsi esperto al punto di scrivere un libro criticando aspramente non solo un contenuto, ma la professionalità di colleghi e di istituzioni, richiede l’obbligo di informarsi almeno superficialmente. Il non farlo a livello scientifico è peccato capitale, a livello umano comporta quanto meno una figuraccia che mette in discussione i meriti di una vita, che nel caso di Burioni non sono pochi.
Devo a sua scusa riconoscere che è stato anche sfortunato. Nel libro afferma purtroppo che la prova principe del suo argomentare stava nelle conclusioni dell’Australian National Health and Medical Research Council (NHMRC) pubblicato nel 2015, dalle quali si poteva evincere che l’omeopatia non aveva nessuna efficacia terapeutica. Tali conclusioni contraddicevano quelle espresse dalla stessa Istituzione nel 2012, che erano opposte ma che, per amore della verità scientifica e forse della suscettibilità di Big Pharma, era stato ritenuto opportuno non pubblicare. Purtroppo per Burioni i tribunali australiani hanno messo in evidenza che i risultati del 2015 erano stati taroccati e che il presidente della commissione Peter Brooks aveva dichiarato il falso, diventando pertanto penalmente perseguibile. Ma quando la sentenza è stata resa nota (agosto 2019) il libro di Burioni era già stato scritto e circolavano le bozze. Neanche il tempo di stampare un addendum e di concludere che un dio dispettoso e profondamente ingiusto tifava per gli omeopati.
L’omeopatia è una metodologia terapeutica basata su una letteratura vastissima che trova solo nell’euristico il suo limite, nel senso che non si chiede ne’ si interessa dell’origine dell’efficacia di un certo rimedio ne’ tanto meno della sua natura. Questa è l’origine che porta la medicina ortodossa, che si rifà al principio sperimentale dell’interazione farmaco-recettore, a deridere e condannare con disprezzo le basi dell’omeopatia, che ha nei processi di diluizione e dinamizzazione, che caratterizzano la preparazione del rimedio omeopatico, il proprio fondamento. Questo disprezzo dura tutt’oggi perché ai più è incomprensibile come un qualche cosa che venga diluito in un solvente un numero di volte tale da rendere improbabile l’esistenza in soluzione di una singola particella sulla base del numero di Avogadro, possa avere proprietà terapeutiche al di là di un banale effetto placebo (che poi tanto banale non è).
Il ragionamento si applica anche al processo di dinamizzazione, che ai non esperti appare misterioso, anche perché contraddice, se si desse retta agli omeopati, le basi della termodinamica e la spiegazione è un’altra. La grande colpa di coloro che producono o prescrivono farmaci omeopatici sta nell’aver trascurato di approfondire questi aspetti fondamentali, correndo dietro spesso a ipotesi fantasiose formulate senza ritegno, anche perché da quando mondo è mondo sparare stupidaggini non costa nulla, mentre l’essere seri costa fatica e quattrini. Resta il fatto che tale pratica terapeutica è utilizzata tutt’oggi da oltre mezzo miliardo di persone da più di due secoli e se io avessi dovuto scrivere un libro, questo dato mi avrebbe fatto riflettere, prima di inveire contro la Regione Toscana o il Master dell’Università di Siena e contro i “babbei” (come dice Burioni) che le prescrivono, le insegnano e le utilizzano.
Anche perché la politica della Regione Toscana per fortuna non obbedisce a canoni ieratici, ma persegue scopi più terra terra come quello di andare incontro alla richiesta dei propri cittadini. Le decine di migliaia di visite e prescrizioni che vengono fatte ogni anno ne giustificano il mantenimento, anche perché non sono gratuite e incontrano in generale la soddisfazione degli utenti della salute. C’ è infine da ricordare che gli Ordini dei Medici, nel loro ruolo di mallevadori del patto sociale che lega i medici all’Istituzione Pubblica, stanno perseguendo una politica forse più illuministica di quella dettata dai desiderata integralisti di Burioni, ma di sicuro da un punto di vista deontologico più corretta e di fatto, se non compiacenti, si guardano dal condannare i propri iscritti che utilizzano l’omeopatia come strumento terapeutico.
Essendo non esperti, ma proclamandosi tali, sia Garattini prima che Burioni poi partono dalla convinzione che un medicinale omeopatico non contenga molecole di principio attivo. In questo sfortunatamente sono aiutati da numerosi omeopati con le loro sopracitate teorie improbabili al limite del nefando. Purtroppo per tutti loro c’è stata una sorpresaccia, visto che la tecnologia li contraddice in maniera evidente: studi di microscopia elettronica a trasmissione e diffrazione elettronica, pubblicati ormai da quasi dieci anni, dimostrano che a causa di fenomeni probabilmente per loro oscuri che si chiamano flottazione e nanoassociazione, la diluizione dei farmaci omeopatici è solo formale a partire da una certa diluizione e che anche i farmaci più diluiti contengono quantità di principio attivo dell’ordine dei nano o picogrammi per millilitro. Si dirà che è poco, ma è anche vero che le concentrazioni operative di molti importanti agenti biologici naturali sono di questo ordine di grandezza e nessuno le discute.
A livello biologico esiste un ulteriore fatto incontrovertibile: tutti gli studi che sono stati pubblicati (ormai sono diecine nell’ arco degli ultimi quindici anni) mostrano che i medicinali omeopatici hanno una profonda influenza sui profili genici del DNA, dimostrando quindi una attività biologica che l’evidenza sperimentale rende indiscutibile. Se c’ è un settore dove il problema dell’ induzione di Hume è patente, questo sicuramente è la medicina. Ma se invece si vuol seguire le dottrine di un mini-Kant da salotto come Popper (quando evitava accuratamente ogni confronto con Wittgenstein, che l’avrebbe ridicolizzato), si può sostenere come Burioni che la scienza, pur non fornendo dogmi, fornisce delle certezze, che possono in ogni caso essere messe in dubbio e smentite attraverso il metodo scientifico e non in altro modo. Ma se così ha da essere, l’autore poteva almeno peritarsi a criticare questi esperimenti invece di utilizzare il tipico metodo non-scientifico di pensare che il mondo sia come lo pensa lui.
Vado oltre: i pochi studi effettuati (fino ad oggi solo all’Università di Firenze e all’Università di Verona) utilizzando farmaci omeopatici a diverse diluizioni, hanno mostrato che la variazione dei profili genici del DNA segue un andamento ormetico (ovvero inversione dell’ effetto in funzione della dose) e questo risultato sperimentale potrebbe giustificare la legge del simile (similia similibus curentur) che sta alla base dell’ omeopatia. C’ è da ricordare che questa legge detta di similitudine era stata introdotta da Hahnemann, il fondatore della disciplina, proprio sulla base del successo raggiunto da Jenner con la vaccinazione, cosa della quale senza dubbio Burioni è un grande esperto.
Do tuttavia atto che questi dati sperimentali possono da soli non inferire validazione a una metodologia terapeutica, ma tenuto conto che essi per l’appunto giustificano l’utilizzazione di certe sostanze, nel senso che i prescrittori empiricamente avevano trovato efficaci nei due secoli passati, almeno un dubbio mi verrebbe. Ma come ho detto lascio agli esperti questo aspetto, ribadendo che è invece compito di un chimico interpretare una fenomenologia che la cultura medica non è in grado di razionalizzare. Ma l’esistenza di una piattaforma sperimentale coerente non può essere trascurata e non giustifica certo l’invettiva, l’ingiuria, la condanna, l’anatema e il malanimo espressi da Burioni nell’ occasione e questo proprio perché la scienza non è democratica e ha le sue regole, la prima delle quali è quella di tener conto dei dati sperimentali.
Non è un esempio che dovrebbe dare un maestro e un uomo di scienza, lasciando il compito della foja, della fotta e della piazzata da bar ai tanti sedicenti tuttologi che infestano la rete, che ricordo è la vera penitenza che ci ha imposto il trionfo della meccanica quantistica, visto che quest’ ultima con l’omeopatia, al contrario di quanto sostenuto da una paranza di pazzi scatenati affascinati dal principio di non località, non c’ ha nulla a che vedere.
Personalmente, da un punto di vista scientifico, mi meraviglia il fatto dell’occasione che Burioni si sta lasciando passare sotto il naso. Invece di indossare i panni di un epigono di Catone il censore, da esperto quale egli è non gli dovrebbe essere sfuggito che al pari di un qualsiasi vaccino, l’omeopatia può essere interpretata, a livello terapeutico, come l’effetto indotto dalla formazione di un addotto farmaco-recettore o dalla modulazione cooperativa della risposta allostatica provocata da un appropriato xenobiotico. La disciplina e l’insieme di dati sperimentali di fatto sottolineano la natura biologica dell’informazione indotta da un medicinale omeopatico. Pertanto tale considerazione ai suoi occhi dovrebbe portare allo sviluppo non tanto di una metodologia di cura, quanto piuttosto allo sviluppo di altre prospettive come per esempio la medicina anti-invecchiamento.
Lo sviluppo della proteomica e della metabolomica sta mostrando infatti come gli xenobiotici in piccola dose possano essere efficaci nel determinare l’espressione genica del DNA in risposta alla perturbazione indotta da agenti dannosi. Al pari dei vaccini la modulazione della risposta allostatica di un organismo può avere degli effetti inaspettati e avere una importanza sociale di grande rilevanza. L’ eredità di due secoli di omeopatia a questo punto potrebbe assumere un valore inestimabile. Probabilmente Burioni, se si fosse accorto di questo, con la sua cultura e il suo valore potrebbe contribuire a indirizzare la medicina verso una nuova prospettiva. Lo può fare, è ancora giovane. E nel contempo può leggersi le opere di grandi medici e filosofi, come per esempio Canguilhem, che della propria dimensione umana hanno un altro concetto. Ma questa è solo un’opinione dello scrivente.
Leave a Reply
Devi essere connesso per inviare un commento.