“Integrativa”, “Integrata” o Nuova Medicina?

di Simonetta Bernardini, su HIMed di novembre 2011

Il modello tradizionale di assistenza medica fornito dai diversi Servizi Sanitari Nazionali attraversa una fase di riconfigurazione. I motivi sociologici ed economici che stimolano un tale processo di rinnovamento sono stati illustrati nei contributi precedenti e, benché tale transizione abbia caratteristiche strettamente dipendenti dalle particolari situazioni che si hanno nei diversi stati, i modelli che vengono ad essere concepiti prevedono costantemente l’utilizzazione di nuove tecniche terapeutiche in aggiunta a quelle esistenti. Questi nuovi modelli vengono ad essere conseguentemente definiti come espressione di assistenza integrata di salute (modelli Integrated Health Care o IHC), locuzione introdotta negli USA e in Inghilterra, dove questo processo ha mosso i primi passi prima di espandersi in tutti i paesi occidentali.

Nel modello IHC l’offerta sanitaria si differenzia da quella tradizionale in essere in occidente dove la biomedicina definisce e codifica dalla sua posizione dominante la metodologia e la prassi da seguire nel percorso terapeutico. Il modello tradizionale è ritenuto dai suoi critici troppo riduzionista e meccanicista, stante la sua pretesa di razionalità e di scientismo che lo porta a privilegiare lo schema terapeutico generale e canonizzato, che, per sua natura, tende ad appianare le diversità dei soggetti bisognosi di cura se diagnosticati essere afflitti dalla stessa malattia. Questa filosofia operativa è giustificabile quando il fattore “tempo di intervento” ha importanza dominante per la sopravvivenza del paziente, ma non è generalizzabile nell’ambito di un paradigma che definisce un modello biomedico. I contributi precedenti hanno sottolineato l’importanza della relazione mente-corpo sia nello stato di salute che di malattia e purtroppo uno dei limiti della biomedicina è quello di ignorare questa relazione, prevedendo una separazione fra i due costituenti. Per contro le CAM sono basate sul principio olistico della non separabilità del sistema mente-corpo sia nello stato di benessere che nello stato di sofferenza e, pur adottando tecniche terapeutiche che necessitano di maggiori prove in termini di scientificità ed efficacia, si rivelano gradite a un numero sempre più grande di pazienti specie se afflitti da malattie croniche per le quali molto spesso la biomedicina non è capace di proporre metodologie di cura soddisfacenti. Queste considerazioni, come ricordato nei contributi precedenti sono pensate essere causa dell’origine della proposta di un nuovo modello terapeutico che comprenda entrambe le filosofie quale appunto quello che noi definiamo Medicina Integrata (IHC).

Il modello IHC non può essere per sua natura univoco rifacendosi spesso al tentativo di fusione o più semplicemente di coesistenza della biomedicina con le metodologie terapeutiche tradizionali di un popolo. Pertanto le proposte e le attuazioni sono diverse dipendendo dalla situazione nella quale si verificano. Per esempio negli Stati Uniti, dove è in uso il pagamento diretto delle prestazioni, è spesso generato da motivi di profitto, mentre in Cina o in India è mirato alla coesistenza della Medicina Tradizionale con la biomedicina, dal momento che entrambe le terapie sono finanziate dallo stato. Il numero di medicine e discipline complementari alla biomedicina che possono essere integrate nei percorsi di cura è elevato così come è ampio il settore di applicazione, passando dalla medicina preventiva, alla promozione di pratiche per la salute, alla gestione di malattie acute e croniche e anche alle cure palliative. [1]

L’integrazione di cure appartenenti a discipline non ortodosse di area medica (e non) ha preso campo alla fine degli anni ’80, periodo in cui nella letteratura scientifica cominciano ad apparire i primi contributi su questo fenomeno. Da allora in poi, al moltiplicarsi di strutture sanitarie eroganti terapie definite integrative si è associato un proliferare di articoli di riflessione intorno a questo tema. Ciò nonostante ancora oggi il fenomeno rimane in fase di definizione, in attesa di fare definitiva chiarezza riguardo i requisiti necessari per predisporre un setting di medicina integrata o integrativa che dir si voglia. Del resto le esperienze di integrazione delle CAM nei SSN sono maturate particolarmente dalla fine degli anni ’90 ad oggi.2 Da un punto di vista culturale è ragionevole pensare che i tempi non possano essere ancora sufficientemente maturi per poter giungere a riflessioni internazionalmente condivise e quindi applicabili secondo uno standard operativo. A questo si sommano le intricate implicazioni di carattere regolatorio che sottendono il diverso atteggiamento dei governi sanitari riguardo agli investimenti e alla facilitazioni fornite e che sono conseguenza del substrato culturale di ciascun popolo. Pur non soffermandosi su questo argomento, poichè esce dagli scopi di questo contributo, occorre sottolineare che tra le discipline non ortodosse, che ambiscono a far parte della medicina contemporanea, vi è grande difformità riguardo alle prove di efficacia in specie se esse debbano essere considerate secondo i canoni stabiliti dalla medicina delle evidenze. Non è un caso, dunque, che la medicina omeopatica si sia sviluppata maggiormente in Sud America, (Argentina, Brasile) o in oriente in Pakistan, India mentre essa sia carente nel Nord America dove pochi ospedali erogano prestazioni di omeopatia (es. il NY Presbiterian Hospital, il Jefferson University Hospital di Philadelphia). Ugualmente la medicina tradizionale cinese e l’agopuntura si sono sviluppate maggiormente in Cina, l’Ayurveda in India. In Europa è più diffusa l’omeopatia particolarmente in Inghilterra, Austria, Francia, Germania e in Italia particolarmente in Toscana. A voler ben vedere, inoltre, vi è un proliferare di iniziative di integrazione di cure nei servizi sanitari, ma esse, piuttosto che riguardare i grandi sistemi medici (omeopatia, MTC, ayurveda) riguardano le discipline del benessere (yoga, Tai Chi, Qi Gong, reiki, etc.) e l’agopuntura per lo più erogata anch’essa al di fuori del suo contesto complessivo, e per conseguenza smembrata dal complesso approccio metodologico codificato nella Medicina Tradizionale Cinese. E’verosimile ipotizzare che un tale orientamento non sia disgiunto dalle difficoltà che ha incontrato l’ortodossia a confrontarsi non solo con altre terapie ma con altri pensieri medici formatisi su presupposti epistemologici e metodologi differenti rispetto ai dettami impartiti dall’accademia. Per conseguenza è comprensibile che sia più semplice far posto nella biomedicina a pratiche non esercitate da medici, e quindi soggette al controllo dei medici stessi, piuttosto che avviare un processo di scambio culturale in medicina che è premessa portante dell’approccio interdisciplinare alla cura e della medicina integrata, almeno nell’accezione più ampia che ha voluto darle la nostra Società scientifica.

Riguardo alle motivazioni del proliferare del fenomeno di apertura (o pseudo-apertura) della medicina convenzionale alle CAM, che è tipico almeno dell’ultimo ventennio di storia delle medicina, è probabile che non vi sia ne’chiarezza, ne’comunione di intenti tra gli attori protagonisti di questo fenomeno. A giudicare infatti da quanto si pubblica in letteratura scientifica, sembra di poter parlare di un fenomeno appena accennato nel quale gli sforzi siano orientati essenzialmente a concepire definizioni, a fissare alcuni criteri di orientamento che consentano al pensiero ortodosso di non “smarrirsi” in questo tentativo di apertura, a mantenere comunque la capacità di condurre il gioco piuttosto che essere finalizzati ad individuare chiari ambiti di intervento, complementarietà terapeutica, prospettive comuni di sviluppo, condivisione di intenti tesi a definire un univoco percorso di guarigione. Ne è prova lo stesso metodo utilizzato per produrre evidenze di efficacia. Infatti gli studi clinici non sono finalizzati a verificare la maggiore efficacia di percorsi terapeutici integrati, quanto piuttosto a valutare l’efficacia di una singola tecnica complementare. Ma quali sono i motivi che hanno indotto la medicina convenzionale ad aprire alle CAM? A nostro modo di vedere le risposte sono essenzialmente due: la domanda dei cittadini e la consapevolezza della inefficacia della medicina convenzionale nella gestione delle malattie croniche.

La domanda dei cittadini

Nel 2009 più di un terzo degli ospedali degli USA offriva CAM. In una indagine svolta tra gli stessi alla domanda sul perchè di tale risoluzione gli ospedali rispondevano per l’87% che la prima ragione del cambiamento è stata la richiesta dei cittadini.3 La pressione degli utenti della salute ha massimamente agito negli USA, in ragione del particolare sistema sanitario di tipo privato e quindi concorrenziale. E’ragionevole pensare che il proliferare di centri di medicina integrativa negli ospedali americani risponda a questa esigenza di mercato sanitario. L’offerta sanitaria innovativa oramai consolidata nel servizio pubblico USA ha saputo organizzare intorno a sè strutture prestigiose di sostegno alle CAM fino a configurare una vera e propria rete di iniziative collegate tra di loro, armonizzate e standardizzate sia per quanto riguarda la formazione universitaria sia per quanto riguarda le offerte sanitarie che, in effetti sono piuttosto simili e ripetitive nei diversi ospedali. In USA la rete di collaborazione costruita intorno alle CAM e alla mission di integrazione delle cure ha come protagonisti il Consortium for Integrative Health Care (CAHCIM), la Fondazione The Bravewell Collaborative e più di recente il Academic Consortium for Complementary and Alternative Healtcare (ACCAHC). Il lavoro che è stato svolto è ingente e gli intenti non sono certo velati. Infatti la mission è chiaramente dichiarata sui loro siti: “lavorare per trasformare il sistema sanitario e migliorare la salute negli USA accelerando l’adozione della medicina integrativa nel servizio sanitario americano e facilitando la creazione di una cultura di salute e benessere in America.”

L’inefficacia della medicina convenzionale nella gestione delle malattie croniche

L’inefficacia della medicina convenzionale nella gestione delle malattie croniche unita alle problematiche connesse con l’overdose di farmaci chimici, spesso fonte di malattie iatrogene è palese. Le terapie convenzionali sono sempre più causa di malessere che, al pari delle stesse malattie che si intendono curare, finiscono per compromettere la qualità della vita dei cittadini.

Ma quale è l’atteggiamento della medicina ortodossa nell’aprire a terapie altre diverse da quelle convenzionali che non sono dotate di dignità paritaria dal momento che non è riconosciuta alle CAM un’equivalenza culturale stante il difetto di dimostrazione della loro efficacia? Daniel Hollenberg, dell’università di Toronto, che è stato il primo a cercare di far chiarezza nei concetti di CAM, medicina integrativa o medicina integrata, ha esaminato il fenomeno rifacendosi alla “teoria della chiusura” di Karl Emil Maximilian Weber, che si riferisce al modo con il quale certi gruppi sociali raggiungono e mantengono situazioni di privilegio nella società.4 Tale teoria definisce il processo di subordinazione che si verifica quando un gruppo di professionisti monopolizza i vantaggi chiudendo tale opportunità a un altro gruppo che è ritenuto inferiore. Le strategie con le quali avviene tale processo possono essere l’esclusione, l’inclusione e la demarcazione. La medicina ortodossa per un lungo periodo ha cercato di escludere la medicina complementare dalle cure ufficiali nel mentre le medicine complementari hanno cercato per contro l’inclusione nelle zone di potere della medicina.

Fallito tale atteggiamento, più o meno in tutto il mondo, la strategia successiva è stata la demarcazione attraverso la quale la chiusura si è realizzata limitando la sfera di competenza del professionista. La teoria della chiusura in effetti definisce perfettamente le relazioni che possono definire le contrapposizioni fra le due figure professionali nei presidi ospedalieri dove si praticano terapie integrative, che, come vedremo, sono un’offerta sanitaria che anche oggi rappresenta piuttosto marginalmente il fenomeno della medicina integrata. I medici ortodossi, utilizzando strategie di esclusione, mantengono la loro figura di riferimento e di coordinamento dell’approccio terapeutico esaltando la cultura degli specialisti.

Non c’è dubbio che tutte le strategie sono mirate alla conservazione di questo predominio esclusivo. Pertanto la coesistenza delle due figure porta a stabilire dei confini di demarcazione con la definizione di una sfera di competenza per i medici e gli altri operatori sanitari delle CAM. Allo stato attuale, nonostante l’introduzione nella cultura ospedaliera della scelta di una tecnica terapeutica da parte di un paziente, della libertà di esprimere le sue preferenze e soprattutto della considerazione del paziente nella valutazione del suo stato di malessere abbia rappresentato di per sè delle rotture nei pilastri del modello ortodosso che lasceranno il segno, ci sentiamo di poter concludere che l’atteggiamento della medicina ortodossa verso le terapie complementari non sia nulla di più di un utilizzo consumistico delle stesse.

Ben altra cosa è il percorso della integrazione delle CAM nella medicina contemporanea. Nei fatti oggi ci si avvale di tutto ciò che possa aiutare vuoi a rispondere a precise esigenze dei cittadini offrendo nel panorama sanitario qualcosa di competitivo, di moderno, vuoi a soddisfare un bisogno della medicina ortodossa alla ricerca di tecniche terapeutiche utili nel limitare i danni dei farmaci. Tutto questo, se ha a che vedere con il fenomeno dell’ampliamento delle offerte sanitarie esploso in tutto il mondo più o meno contemporaneamente alla fine degli anni ’90 del secolo scorso e che ha determinato una sorta di “ammodernamento” della medicina, molto poco ha a che vedere con il rinnovamento della medicina. Non sorprende dunque, ad una lettura più attenta del processo, che le definizioni adottate per definire un fenomeno che non ha alla base chiarezze strutturali e di intenti siano le più varie: “integrativa”, “integrata” e finanche “integrale”. Se le parole sono contenitori di idee, le idee che definiscono l’IHC non sono ancora adeguatamente strutturate.

Personalmente trovo che questa fase operativa, di carattere più riflessivo che affermativo, sia comunque molto positiva e che si tratti di un passaggio inevitabile e necessario. Il percorso dimostra in ogni caso che la medicina ortodossa sta attraversando una crisi, che lo si accetti o no. Ma anche le CAM stanno attraversando una crisi. Esse, infatti, man mano che escono dal loro guscio e si confrontano con il pensiero ortodosso, rischiano di perdere loro stesse la loro ortodossia, essendo costrette a confrontare regole, principi, certezze che pensavano acquisiti, come è tipico di ogni pensiero che è cresciuto nel suo ambiente, arricchendosi al suo interno sempre attorno al solito fulcro.

La sfida che, a mio modo di vedere, maturerà negli anni a venire non riguarda dunque soltanto la medicina ortodossa ma riguarderà altrettanto le CAM. La medicina ortodossa dovrà fare i conti sempre di più con le CAM siano esse “evidence based” o “experience based”, giacchè esigere tout court l’evidenza delle prove di efficacia secondo il modello basato sull’evidenza (EBM) non basterà. Tale caveat infatti non è bastato a contenere il fenomeno del progressivo incremento di utilizzo delle medicine complementari e delle discipline del benessere nelle strutture sanitarie, che, per dirla con le parole di Marc Cohen autore di un lavoro sulla integrazione delle cure in Australia, “are CAMing” nei SSN.5 Ritengo che tale fenomeno non solo non sarà reversibile, ma esso subirà anche una crescita esponenziale. Ma nel momento in cui le CAM chiedono di spartire la potenzialità terapeutica con l’ortodossia è impensabile che non spartiscano con essa anche le regole del gioco tipiche della medicina della nostra epoca storica, e questo sia nel bene sia nel male. Pertanto se accettiamo che il pensiero evolva progressivamente, tra successi ed errori di prospettiva, se alla medicina ortodossa si chiede di rimettere in discussione le proprie certezze, altrettanto si dovrà chiedere alle CAM. Il prodotto finale oggi è, a mio parere, inimmaginabile. Non considero tuttavia che questo sia un limite essendo premessa necessaria ad ogni evoluzione.

A mio giudizio la medicina integrativa o integrata, che dir si voglia, è una fase di passaggio, ma la sfida è un’altra, ovvero la capacità che avrà il pensiero della medicina di cambiare, anche profondamente, dando origine ad una nuova medicina come risultante di uno scambio di paradigmi, di una fusione e ampliamento dei concetti portanti l’insieme delle conoscenze applicate alla complessità del tema della salute e del benessere psicofisico e ambientale di ciascun individuo. E se la rivoluzione dovrà essere questa, non si deve avere fretta. Pensiamo infatti che solo dodici anni fa faceva ancora notizia un lavoro pubblicato sul BMJ nel quale ci si limitava, semplicemente, a definire le CAM presentato con il titolo: “ABC of complementary medicine” [6] e se è vero che dieci anni dopo una lunga riflessione sul tema proveniente da centri canadesi di terapie integrative veniva presentata con un titolo significativo: “Integrative medicine: a tale of two clinics”7 e prendeva una connotazione narrativa riferendo le opinioni dei medici riguardo ai programmi di medicina integrativa in essere all’Ospedale St. Michael di Toronto e all’Ospedale pediatrico Stollery di Alberta. Del resto a tutt’oggi la più gran parte dei medici della medicina ortodossa non mostra alcuna curiosità verso sistemi di cura da loro considerati quantomeno di serie B, se non veri e propri orpelli con funzione di disturbo della medicina ortodossa e da considerare tutt’al più paralleli e, possibilmente, ignorabili. Uno sguardo di insieme delle proposte di servizi di medicina integrativa nelle strutture del servizio sanitario internazionale ci porta a concludere che il processo di integrazione è agli albori e, nei fatti, esso è affidato a pochissime strutture innovative e lungimiranti attualmente al lavoro.

Per comprendere questa riflessione ritengo utile ritornare sui concetti di integrato e/o integrativo per analizzare il significato che viene dato a queste definizioni nei diversi sistemi sanitari del mondo. Questa riflessione può essere utile a comprendere perchè il processo di rinnovamento della medicina secondo i contenuti da molti di noi auspicati sia al momento un fenomeno soltanto in embrione.

Processi di integrazione

In linea generale ai nostri giorni, il processo cosiddetto di integrazione si estrinseca in due modi: a) attraverso la compresenza di servizi di CAM all’interno di servizi pubblici; b) attraverso l’esistenza di servizi della sola medicina complementare riconosciuta dai governi sanitari nazionali. Il modello b) è quello più sviluppato in oriente, nelle due più grandi nazioni, Cina e India. In Cina la medicina tradizionale cinese (MTC) è straordinariamente radicata nonostante la contemporanea disponibilità della medicina occidentale. Ma la MTC è erogata in strutture a sè stanti e insegnata alle università di MTC. Pertanto non esiste nei fatti una integrazione. In India, il Dipartimento AYUSH (ayurveda, yoga, Unani, Sidda, omeopatia) del Ministero della salute tutela le medicine tradizionali, ma anche in questo caso le numerose cliniche indiane di omeopatia o di ayurveda sono strutture a sè stanti e non integrate nelle strutture dedicate alla pratica della medicina occidentale. Attualmente le medicine del comparto tradizionale (ISM, Indian System of Medicines) sono insegnate all’università in un percorso di laurea parallelo a quello della medicina occidentale e sono molti i medici indiani ad aver scelto di effettuare entrambe le formazioni, sia in biomedicina occidentale che in medicina tradizionale indiana.

I programmi didattici delle università che insegnano le ISM includono riferimenti alla medicina occidentale, anche se la formazione in biomedicina non è obbligatoria per esercitare la professione di medico tradizionale. E’dunque evidente che, se anche il gran numero di prestazioni erogate ha permesso il radicamento delle CAM nella popolazione in territori fortemente avvantaggiati da un substrato culturale diverso e a loro favorevole rispetto all’occidente, anche questo modello è ascrivibile al sistema della coabitazione, mentre molto poco è stato fatto riguardo a un possibile scambio culturale tra medicine. E’difficile che da queste esperienze possa nascere il rinnovamento della medicina come lo abbiamo voluto definire più sopra e, ad un’analisi più attenta, è probabile che le CAM in queste nazioni siano ancora più isolate all’interno del proprio territorio rispetto all’occidente.

Nel modello a, applicato negli USA, in Canada e in alcune strutture europee, i servizi di CAM sono erogati come prestazioni ambulatoriali nell’ambito delle strutture sanitarie della medicina ortodossa. Ma anche in questo caso, medicina ortodossa e CAM, al di là del condividere lo stesso luogo di erogazione, realizzano un processo di coabitazione piuttosto che di integrazione. In Europa, oltre ai servizi di CAM in alcune strutture ospedaliere o universitarie (Germania, Olanda) esistono ospedali (Royal London Hospital for Integrated Medicine, Glasgow Hospital for Integrative Medicine) interamente dedicati alle medicine complementari. In essi la medicina ortodossa è contemplata, i medici esperti in CAM sono primariamente formati in biomedicina e pertanto i pazienti che vi si rivolgono continuano, quando necessarie, le terapie convenzionali. Al Glasgow Hospital è anche possibile il ricovero nella struttura, ma tale ricovero riguarda l’assistenza di un team che è composto per intero da specialisti delle CAM. Pertanto, se la premessa portante della medicina integrata, almeno come noi desideriamo proporla, è lo scambio culturale e la discussione interdisciplinare del percorso di cura, nemmeno questo modello più avanzato di assistenza risponde alle caratteristiche necessarie ad un setting di medicina integrata. Ne deriva che la letteratura scientifica finalizzata ad analizzare gli aspetti dei sistemi integrati di cure e dell’assistenza sanitaria integrata, proveniente finanche dai servizi sanitari pubblici, ha analizzato sino ad oggi un modello ipotetico di integrazione non ancora realizzato. Ad esempio, nell’articolo: “Integrative Medicine and systemic outcomes research”8 proveniente dal Program in Integrative Medicine del University of Arizona Colleges of Medicine and Pharmacy, si scrive: “Medici e ricercatori stanno aumentando l’utilizzo del termine Integrative medicine per riferirsi alla fusione delle CAM con la biomedicina convenzionale”. Ma, giustamente, gli Autori proseguono sottolineando che “la combinazione tra CAM e medicina convenzionale non è ‘integrative’. La medicina integrativa rappresenta un sistema altamente ordinato di sistemi di cura che enfatizza come obiettivo il benessere e la guarigione di una intera persona nella sua dimensione bio-psico-sociale e spirituale utilizzando entrambi gli approcci, complementare e convenzionale nel contesto di una relazione supportante e efficace tra medico e paziente. In questo contesto la salute è una proprietà emergente della persona intesa come un complesso sistema vivente. Secondo questa interpretazione, l’insieme potrebbe esibire proprietà che le parti separate non posseggono”.
Condividiamo tale definizione della teoria della complessità, che a nostro modo di vedere centra un concetto portante: la fusione tra discipline appartenenti alla medicina inevitabilmente ridisegna la medicina stessa. In questo senso il processo di integrazione diventa, o per meglio dire diventerebbe, la premessa alla nascita di quella nuova medicina che probabilmente al giorno d’oggi è solo un embrione.

Per comprendere il senso della integrazione può essere utile finanche il vocabolario. Integrare infatti significa sia unire con qualcos’altro, sia incorporare in una unità più ampia. E’di tutta evidenza che l’unione tra CAM e medicina ortodossa comporta l’unione di parti diseguali, poichè le medicine complementari nel sistema dominante della medicina rappresentano un settore minore. Le CAM pertanto sono molto più a rischio della medicina ortodossa nel processo di unione, poichè esse potrebbero essere parzialmente assimilate con il risultato di veder snaturata la loro identità. E’infatti plausibile che la medicina ortodossa se ne avvalga, ad esempio per contrastare aspetti negativi delle terapie farmacologiche nelle malattie croniche come più sopra evidenziato. Ma una tale modo di procedere, inglobando tout court risorse di cura rappresenta ancora una volta un atteggiamento consumistico delle CAM che nulla ha a che vedere con l’integrazione. Pur tuttavia, questa modalità di convivenza e di coabitazione tra medicine è stata indispensabile alla sopravvivenza delle CAM nel pensiero medico contemporaneo fino a determinare la situazione attuale di erogazione delle CAM in molti servizi sanitari. Pertanto la necessità di dover sottolineare che non può essere questo l’obiettivo da raggiungere non comporta che in questo scritto si voglia sminuire la portata del fenomeno al quale fino ad oggi abbiamo assistito.

Prospettive

In conclusione possiamo dire che la storia delle CAM fino ad oggi è evoluta smarcandosi da una posizione di contrapposizione netta tra esse e la medicina ortodossa. La medicina convenzionale a sua volta è passata attraverso due fasi. La prima fase è stata caratterizzata da una sostanziale indifferenza verso altre risorse di cura. E’ stato questo il periodo in cui la medicina ortodossa ha costruito il suo establishment moderno, ha raccolto i suoi successi, ha stupito per la ricchezza di strumenti di cura che ha saputo produrre. Nella seconda fase si sono manifestati i limiti di un tale sistema terapeutico nonostante esso continui ad essere ostinatamente supportato da una convergenza serrata di opinion leaders arroccati nel pensiero dominante della medicina sviluppato e tutelato dall’Accademia. Ma il rifiuto per la medicina scientifica è cresciuto fino al punto di mettere in crisi l’intero impianto della stessa e gli attori protagonisti di tale crisi sono stati proprio gli utenti di quella medicina. La seconda fase, quella attuale, per usare le parole di Ivan Cavicchi è la fase della post-modernità. Il pensiero, così com’è, è in decadenza ed esso dovrà essere rinnovato. In questa seconda fase le CAM hanno guadagnato spazio non solo nella considerazione dei pazienti, ma anche in quella dei governi sanitari e dei medici stessi.

Per i motivi citati prima è in atto in tutto il mondo un ripensamento in medicina ed è agli albori il ripensamento della cura. I nuovi concetti di integrazione delle cure, di ampliamento delle offerte terapeutiche come risultante dell’avvalersi di strumenti altri, siano essi gli aghi dell’agopuntura, le erbe della medicina ayurvedica, della fitoterapia cinese o occidentale, i medicinali omeopatici, ma anche strumenti appartenenti a discipline del benessere come Yoga, Tai Chi, etc. cominciano ad essere considerati.

Le esperienze, più o meno analoghe in tutte le nazioni, se possono essere coordinate da iniziative anche ampie all’interno di un’area geografica, non sono per contro coordinate a livello internazionale. Basti pensare al radicamento della MTC in Cina e allo smembramento della MTC nella sua versione occidentale in cui sino ad ora è la sola agopuntura ad aver acquisito uno spazio. Se ospedali molto importanti hanno dato spazio all’agopuntura, infatti, non altrettanto è accaduto per la MTC. E di fatto è la stessa OMS ad operare una distinzione tra medicine tradizionali e CAM. In una visione dell’insieme di tutto ciò che si può considerare medicina intesa come strumento utile alla salute dell’uomo, in cui le parole salute e uomo rivestano quel significato globale intelligibile nella nostra epoca storica si assiste in ogni caso ad un fenomeno di parcellizzazione in seguito al quale un singolo aspetto della medicina e della cura può venire accolto dalla medicina ortodossa. Come dicevamo, sebbene la letteratura scientifica e lo sforzo che più autori hanno fatto è stato quello di provare a definire il processo di integrazione delle cure sotto la definizione di integrated medicine o integrative medicine, di fatto quel che fino ad ora è accaduto è altro. Si è trattato infatti di uno smembramento di alcuni strumenti di cura e del loro ingresso nella medicina occidentale che ha scelto di avvalersene senza peraltro ridiscutere se stessa. Tali strumenti quindi vengono accolti secondo la visione tipica della medicina ortodossa, nulla di più di ulteriori risorse di cura da porre a fianco della medicina con il rischio, più volte sopra segnalato, di sviluppare nient’altro che un ulteriore consumismo in sanità.

Se la medicina ortodossa soffre anche solo a seguito di questa coabitazione vissuta da più parti come minaccia al suo non discutibile potere, tale minaccia è niente rispetto al processo che noi auspichiamo potrà caratterizzare la nuova fase della medicina. L’approccio inter- disciplinare alla cura infatti è qualcosa di ben diverso dalle esperienze finora avviate. L’interdisciplinarietà comporta uno sforzo elevato, cioè l’accettazione dei diversi punti di vista in medicina che sono tanti quanti siano i componenti di quel setting di medicina integrata (medici convenzionali, omeopati, agopuntori, fitoterapeuti, esperti in discipline del benessere, etc.) tenendo conto del fatto che i setting possono essere differenti gli uni dagli altri a seconda di cosa si voglia integrare e in funzione del substrato culturale in cui matura la convivenza e la collaborazione. Ognuno dei protagonisti infatti ha una propria filosofia del concetto di salute e della cura: diversa è la considerazione dell’oggetto delle cure che per la medicina ortodossa è la malattia e per le discipline cosiddette olistiche è una persona da considerare nel suo intero in un contesto sociale, ambientale, culturale che ne condiziona la sua stessa capacità di reagire alla malattia. Non solo, colui, che per la medicina ortodossa è un oggetto di malattia, per le CAM è, nel contempo, un soggetto di guarigione. In altre parole si confrontano due metodi opposti ma non per questo non integrabili. Nel primo, il metodo ortodosso, l’intento della cura è distruggere la malattia; nel secondo l’intento della cura è attivare le risorse di autoguarigione, autoriparazione della persona ammalata. In via di principio non vi sarebbe ostacolo all’alleanza delle due strategie terapeutiche. Ma il confronto tra i due approcci terapeutici tende a decrescere per forza la fiducia nella medicina convenzionale che cessa di essere protagonista indiscusso e che viene, viceversa, riconsiderata alla luce dei contenuti culturali delle CAM.10 Inoltre, poichè la premessa alla integrazione (e non alla coabitazione) è il rispetto reciproco, ne deriva che la gerarchia formale viene a perdere di valore quando si accetti il concetto di fiducia reciproca e di rispetto di tutti i membri. Pertanto l’autonomia del medico convenzionale diminuisce insieme al suo ruolo dominante, scricchiola l’edifico costruito incontro ai concetti di malattia e terapia e si fanno avanti, al loro posto, il malato e la cura. Cadono i tentativi di estromissione o demarcazione e si va verso un nuovo modo di intendere la medicina nell’alleanza tra sistemi di cura.
D’altra parte la strutturazione della medicina convenzionale ha dato il meglio di sè nelle patologie dell’emergenza e dell’urgenza, ma ha dimostrato tutta la propria fragilità nelle malattie croniche dove, non casualmente quindi, si sono affermate le CAM e il modello interdisciplinare e integrativo della cura.

Requisiti per un setting di Medicina Integrata e il Centro ospedaliero di Medicina Integrata dell’Ospedale di Pitigliano

Sebbene il movimento della medicina integrata e integrativa sia oramai un movimento internazionale intorno al quale si discute in letteratura come ampiamente descritto sopra, ho cercato di sottolineare come esso non sia ancora in essere nella realtà dei fatti . Gli esempi più importanti, come le prestazioni CAM erogate alla Mayo Clinic, al Sloan Kettering Center di New York, al Dana Farber Hospital di Boston, al Royal London Hospital for Integrated Medicine di Londra, al Center for Integrative Care di Glasgow, all’Ospedale di Strasburgo, al Karolinska Institutet, tanto per citare alcune strutture sanitarie tra le più note che si avvalgono anche delle CAM, riguardano la possibilità di disporre anche di altre terapie, appartenenti all’ampio contenitore delle CAM, nel rispetto della medicina convenzionale cui esse vengono affiancate secondo un modello che non mette in crisi la supremazia della medicina ortodossa e che non impegna i medici nel più complesso sistema dell’approccio interdisciplinare alla Cura. Come sopra sottolineato, il modello della medicina integrata è un’altra cosa ed esso prevede la possibilità di scambio culturale tra medicine e discipline. In questo modello occorre che i protagonisti possano ridiscutere insieme e condividere l’approccio terapeutico secondo un percorso interdisciplinare di intervento nel quale i pilastri portanti delle CAM e della medicina ortodossa si confrontino con lo scopo di ripensare alla salute e alla malattia da più punti di vista.

Lo scambio culturale

Poichè i medici esperti nella medicina convenzionale spesso non hanno alcuna nozione delle CAM, la premessa fondamentale è che essi abbiano interesse a conoscere questa cultura. Una gran parte del lavoro da fare quindi riguarda la possibilità di coinvolgere i medici ortodossi attraverso l’informazione e la formazione professionale.

Gli esperti delle CAM devono investire molto tempo ed energie per approntare eventi finalizzati alla conoscenza delle CAM da erogare ai medici formati nell’ortodossia. Strumento portante dell’informazione e formazione del medico ortodosso è l’accuratezza e l’appropriatezza del linguaggio. Infatti i contenuti della formazione devono essere adattati alle esigenze di conoscenza di personale che non ha scelto una formazione in CAM, ma si è dimostrato semmai disponibile a saperne di più. Al tema dell’adattamento del linguaggio nella informazione e formazione in omeopatia dei medici convenzionali la SIOMI ha dedicato molte energie nei dodici anni della sua attività in Italia finalizzata alla comunicazione e condivisione dei contenuti della cultura della medicina omeopatica ai medici del SSN. Riteniamo questo sforzo fondamentale. Infatti, se i medici esponenti della medicina ortodossa non hanno alcuna conoscenza delle CAM, se essi non comprendono il valore della individualità della cura, se non conoscono le differenze sostanziali nei concetti di salute e malattia tipici della visione delle CAM rispetto alla medicina ortodossa l’obiettivo possibile nella migliore delle ipotesi sarebbe quello di acquisire una tolleranza da parte di un numero sempre maggiore di medici rispetto alla possibilità di considerare atti terapeutici aggiuntivi, ma non mai una condivisione degli stessi. Il paziente, pur essendo lo stesso, sarebbe semplicemente l’oggetto di ulteriori proposte terapeutiche non condivise.
E’di tutta evidenza che l’informazione e la formazione nelle CAM dovrebbe essere erogata in primis nei corsi di Laurea in medicina e nelle altre professioni di area sanitaria. Servono dunque linee guida della formazione alla cui redazione dovrebbero impegnarsi le università sulla scia del modello americano del The Consortium of Academic Health Centers for Integrative Medicine, che abbiamo ricordato riunire 50 Medical Schools in USA. Nella realtà, purtroppo, in Europa non solo manca una formazione pre-laurea ma è storia recentissima e sporadica anche l’istituzione di una formazione post-laurea erogata attraverso Master universitari dedicati ad alcune CAM. Tra questi merita di essere citato il primo Master dedicato alla Medicina Integrata istituito presso la Facoltà di medicina dell’università di Siena nel 2008 nel quale, oltre a lezioni finalizzate a dare agli studenti una visione più ampia dell’uomo della salute e della malattia attraverso nozioni di filosofia della medicina, sociologia, psiconeuroendocrinoimmunologia, vengono insegnate le medicine complementari (omeopatia, fitoterapia e agopuntura) riconosciute dalla regione Toscana come medicine del servizio sanitario regionale (legge n° 9 del 2007).

La realizzazione di un modello di medicina integrata prevede che tutti i protagonisti del sistema sanitario ricevano informazioni sulle CAM che si intendono integrare in un percorso terapeutico e che ciascun operatore venga formato sulla base delle sue specifiche competenze. E’ necessario quindi che l’accademia si faccia carico di questa formazione e che accanto a offerte formative riguardanti i medici, i farmacisti, gli odontoiatri, si strutturino corsi di informazione/formazione per infermieri, ostetriche, fisioterapisti, nutrizionisti e più in generale per tutto il personale di area sanitaria. L’Università di Siena ha perciò approntato un secondo Master di formazione di primo livello per il personale sanitario che verrà erogato a partire dal 2012 e nel quale saranno date informazioni sui principi base e sulle potenzialità terapeutiche delle CAM non solo per quanto riguarda le medicine complementari riconosciute in Toscana, ma anche per alcune discipline del benessere (Shiatsu, yoga, Tai Chi, Qi Gong, etc.) che la Toscana ha inquadrato in un ulteriore percorso di riconoscimento legislativo (legge n° 2 del 2005). Sempre in Toscana anche l’Università di Firenze nell’ambito delle attività didattiche della facoltà di medicina eroga formazione sulle medicine naturali differenziate per medici e altro personale sanitario. Altre iniziative in Italia si registrano in altre sedi universitarie, come ad esempio Roma, Milano, Bologna.

Dunque, almeno nel post-laurea una parvenza di strutturazione formativa nelle CAM è presente nel nostro paese. Ma manca ad oggi del tutto in Italia una condivisione di programmi didattici, così ogni sede universitaria coltiva la propria iniziativa. Ne deriva che gli studenti acquisiscono un diploma di formazione differente a seconda delle sede in cui effettuano la formazione con contenuti formativi spesso anche molto diversi gli uni dagli altri. Non sfugge, tra l’altro, che tali competenze sono anche difficilmente utilizzabili in un sistema sanitario nazionale che di fatto, se si esclude la regione Toscana, non prevede, se non in sporadici contesti, integrazione delle CAM nel servizio pubblico. In Toscana l’istituzione di un Master di Medicina Integrata si rese necessario al tempo della redazione del progetto sanitario dell’Ospedale di Medicina Integrata di Pitigliano il quale, tra l’altro, una volta attivato avrebbe potuto erogare la formazione pratica che è elemento indispensabile in ogni core curriculum formativo in medicina. Oltre alla formazione universitaria, il Centro ospedaliero di Medicina Integrata di Pitigliano ha approntato eventi formativi in ECM sia per i medici del territorio sia per il personale sanitario dell’ospedale. La formazione riguarda i principi base delle tre medicine complementari erogate a Pitigliano, omeopatia, agopuntura e fitoterapia.

Ma al di là delle iniziative di informazione e formazione indispensabili quando si intenda strutturare un setting di medicina integrata, l’esperienza di Pitigliano, che è il primo ospedale in Italia che eroga CAM anche ai pazienti ricoverati, ha permesso di mettere in evidenza i requisiti necessari per avviare un progetto che possa, nella realtà delle cose, definirsi di medicina integrata. Esporrò dunque brevemente i requisiti di un tale modello che, data la assoluta novità, si va progressivamente delineando e la cui sperimentazione potrà fornire informazioni utili sia sulla strutturazione, sia sulla fattibilità e utilità di tale progetto sanitario a chi volesse in futuro approntare analoghi servizi di medicina integrata.
Il progetto sanitario del Centro di Pitigliano ha avuto una lunga gestazione prima di entrare nella fase della sua realizzazione pratica. Nei due anni precedenti l’apertura infatti un comitato scientifico ha lavorato alla redazione del progetto da presentare all’Assessorato alla Salute della Regione Toscana. E’intuibile la difficoltà di strutturare un progetto sanitario che non poteva fare riferimento ad analoghe esperienze. Tuttavia la collaborazione dell’ASL 9 cui fa riferimento l’Ospedale, dell’Assessorato alla Salute della Toscana, delle Facoltà di Medicina dell’università di Firenze e Siena, degli ordini dei medici di Firenze e Grosseto, degli ordini dei farmacisti di Firenze e Grosseto, della commissione regionale di bioetica e della commissione di bioetica di Grosseto, la collaborazione di un medico esperto in medicina legale, di ricercatori, di epidemiologi e la consulenza di Peter Fisher direttore del Royal London Hospital for Integrated medicine e di David Reilly direttore del Glasgow Hospital for Integrative Care, della Società Italiana di Omeopatia e Medicina Integrata ha permesso di delineare i requisiti necessari ad un punto di vista legale, socio-sanitario, culturale, organizzativo necessari alla sua realizzazione. Il centro ospedaliero di medicina integrata è in funzione del febbraio 2011 e l’esperienza attualmente in corso consente di poter tracciare oggi un primo bilancio sulle principali potenzialità e anche sulle principali criticità di un modello così innovativo in sanità.

Non essendo questo contributo dedicato all’esperienza del Centro ospedaliero i concetti che verrano qui esposti saranno limitati a quelli utili all’illustrazione della proposta del setting di medicina integrata secondo l’esperienza emergente da un modello in fase di applicazione pratica. Come ricordato in altra parte di questo contributo condividiamo la riflessione che la premessa portante di una iniziativa sanitaria finalizzata all’integrazione delle cure sia la fiducia e il rispetto reciproco tra professionisti esperti in medicina ortodossa e in CAM. Ma tale premessa non è ovvia, dal momento che la medicina ortodossa è cresciuta nell’accademia, si è strutturata ed è evoluta con il consenso dell’establishment del pensiero dominante in medicina mentre le CAM sono tutt’oggi da più parti emarginate. Ne deriva che la fiducia e il rispetto rappresentano piuttosto valori da conquistare che premesse acquisite. Il primo passo per costruire tale fiducia è che vi sia conoscenza riguardo alle medicine complementari. Per questo abbiamo fatto riferimento alle iniziative di informazione e formazione sulle CAM.

Lo scambio relazionale

Il secondo passo, a mio modo di vedere, è la conoscenza diretta e progressiva tra operatori della salute che prestano il loro lavoro nel territorio nel cui ambito opera una struttura di medicina integrata. Per questo motivo il Centro di Medicina Integrata stesso ha promosso numerose iniziative finalizzate all’incontro con i medici del territorio cui afferisce l’ospedale stesso costruendo una modalità di relazione sia attraverso incontri con i medici e i pediatri di famiglia e i medici ospedalieri, sia attivando una mailing list che consenta di scambiare informazioni tra il Centro e il territorio, sia attivando un servizio di reperibilità telefonica e via email dei medici esperti in CAM del Centro a disposizione di tutti i medici italiani i cui pazienti stanno afferendo agli ambulatori di Pitigliano, sia attraverso la consegna di una lettera di dimissione redatta dal team della medicina integrata e indirizzata al medico di famiglia del cittadino che ha ricevuto cure integrate nel reparto ospedaliero o negli ambulatori del Centro.

Il fattore tempo

A nostro modo di vedere, la conoscenza reciproca, la disponibilità al dialogo rappresentano un fattore di primaria importanza per la realizzazione di un setting di medicina integrata. In tale senso non devono essere fatti sconti ne’al tempo necessario ad analizzare le perplessità più che ovvie e legittime dei nostri colleghi della medicina ortodossa ne’al tempo necessario alla maturazione del progetto stesso. Un altro valore primario ritengo sia rappresentato dalla disponibilità a prevedere errori e conseguenti cambi di rotta e a sopportare le frustrazioni tipiche di un percorso certamente difficile perchè nuovo e innovativo.

D’altra parte la consapevolezza di far parte di un progetto sanitario emergente potrebbe essere una motivazione sufficiente a sollecitare la responsabilità, la curiosità, la modestia e finanche l’entusiasmo degli attori protagonisti di una nuova prospettiva in medicina. Infatti, se la medicina integrata è un modello emergente, essa non può non essere la risultante di un percorso tentativo e, allo stato attuale delle cose, verrà definito nello sviluppo pratico dello stesso non potendo essere mutuato da esperienze analoghe.

La fiducia reciproca

Individuate le premesse del lavoro, il modello di medicina integrata si definisce strada facendo attraverso il lavoro clinico realizzato fianco a fianco in una corsia di ospedale. Lo scenario che di delinea a Pitigliano è un reparto ospedaliero di dimensioni piccole e dunque, a nostro avviso, particolarmente adatto alla strutturazione di una relazione che ha finalità strettamente collaborative tra medici. La presenza prevalente in reparto di pazienti affetti da patologie croniche costituisce il substrato ideale per questa esercitazione di integrazione delle cure in medicina. Nel centro di riabilitazione di Manciano, anch’esso parte del progetto sanitario di medicina integrata, invece le cure integrate sono erogate sia a pazienti con difficoltà motorie e neurologiche conseguenti ad accidenti, particolarmente ictus, oppure ai pazienti in riabilitazione ortopedica dopo interventi chirurgici. Si tratta ancora una volta di patologie adatte all’approccio integrato. In entrambe le strutture sanitarie l’intero staff dell’ospedale è chiamato a discutere insieme i casi clinici quando alla terapia convenzionale sono affiancate le medicine complementari.

Il lavoro interdisciplinare

Finora abbiamo focalizzato l’attenzione sul processo di collaborazione tra medici esperti in CAM e colleghi della medicina ortodossa come elemento indispensabile di un progetto di approccio interdisciplinare alla cura. Ma non va trascurato che la contemporanea presenza di medici esperti in diverse CAM consente anche un altro livello di integrazione, ovvero l’approccio interdisciplinare nell’ambito delle medicine complementari. In questo modello dunque la collaborazione non riguarda soltanto i medici ortodossi e gli esperti in CAM, ma anche i medici esperti nelle diverse medicine complementari. E’comune che a Pitigliano i pazienti ricevano sia la visita di omeopatia che quella di agopuntura o di fitoterapia e che vengano avviati a trattamenti terapeutici congiunti. Anche questo modello di integrazione che contempla la possibilità di utilizzare insieme più risorse delle CAM è piuttosto nuovo e ancora poco descritto in letteratura, nonostante esso sia già disponibile anche in Europa in altre strutture che ospitano le CAM come ad esempio il Royal London Hospital for Integrated Medicine e il Glasgow Center for Integrative Medicine dove si integrano anche discipline diverse dalle medicine complementari come, ad esempio, la psicoterapia e le tecniche di meditazione. E’straordinaria la mancanza di letteratura sull’argomento sebbene lo scambio culturale tra sistemi medici alternativi sia decisamente più facile dal momento che alcune premesse metodologiche giudicate indispensabili in questa tipologia di setting sono normalmente già presenti, mi riferisco in particolare alla condivisione tra operatori delle CAM di item quali : la visione globale dell’individuo, la individualità dell’approccio terapeutico, la fiducia nei sistemi di autoguarigione dell’organismo, la ricerca di una relazione fortemente umana tra medico e paziente e il rispetto e la fiducia nella professionalità di ciascun operatore. A nostro giudizio la poca letteratura disponibile non solo riguardo alla integrazione tra CAM e medicina ortodossa, ma anche tra discipline appartenenti alle CAM, è una ulteriore conferma dello stato poco più che embrionale della comprensione della definizione internazionalmente proposta di medicina integrata o integrativa.

Gli strumenti sanitari

La compresenza di medici esperti nelle CAM e medici ortodossi nella struttura ospedaliera comporta l’utilizzo congiunto delle cartelle cliniche nelle quali deve essere riservato uno spazio per la redazione della storia clinica del paziente, la visita medica e la terapia effettuate secondo i canoni delle CAM. Lo stesso sistema di archiviazione delle cartelle cliniche deve prevedere l’inse- rimento di codici specifici relativi alle prestazioni di medicina integrata. Tutto questo ovviamente non è possibile laddove il servizio sanitario non abbia previsto, con opportuni atti governativi, il riconoscimento delle CAM.

Conclusioni

La realizzazione di un Integrative Health Care è una questione straordinariamente complessa. Di fatto un tale sistema non è ancora stato realizzato nonostante l’argomento sia trattato da più autori, particolarmente referentesi ad esperienze maturate in America del Nord. La definizione che ne hanno dato Schroeder e Likkel9 nel 1999 è, a nostro modo di vedere, corretta ed essa si riferisce alla necessità che operatori della salute formati con differenti backgrounds lavorino insieme per il beneficio del paziente. Questo concetto di base, come focalizzato da Daniel Hollenberg,4 è stato interpretato e espanso in diverse formulazioni dipendenti dal contesto socio-sanitario risultando in un insieme di servizi sanitari integrativi tra biomedicina e CAM definibili come “pratiche collaborative”, “approccio interprofessionale alla cura”, “medicina integrativa” e “medicina integrata”. Sebbene la combinazione tra CAM e medicina ortodossa sia lo scopo, alcuni (tra questi la SIOMI) hanno operato una ulteriore distinzione tra un modello di integrazione nel quale le CAM siano inglobate nella medicina ortodossa mantenendo al medico ortodosso l’esercizio del controllo del percorso terapeutico e un modello ideale nel quale si arriva ad ipotizzare la fusione della medicina e delle CAM in un nuovo paradigma di salute. Questo comporterebbe l’espansione del modello biomedico di malattia focalizzando sull’aspetto complesso, globale, olistico che implica l’inclusione degli aspetti di mente-corpo-spirito nel processo di guarigione. La relazione tra diversi operatori della salute, incluso i medici ortodossi non prevederebbe, in tal caso, nessuna scala gerarchica di competenze ma piuttosto che tale relazione si nutra di rispetto reciproco, fiducia e armonica collaborazione di tipo sia trans-disciplinare che interdisciplinare nel quale possano essere offerte un insieme di risorse terapeutiche appartenenti alla biomedicina e alle CAM.
E’comprensibile come un tale modello non possa essere realizzato al giorno d’oggi e che questa mancata realizzazione dipenda da molti fattori non solo di carattere culturale, geografico, legislativo ma anche dalla necessità che le CAM dimostrino maggiormente la loro utilità in termini di miglioramento della qualità della vita e della salute dei cittadini e di risparmio della spesa sanitaria. Non v’è dubbio tuttavia che, qualora un tale modello potesse pienamente realizzarsi, esso ridisegnerebbe completamente la medicina sia dal punto di vista della formazione, sia dal punto di vista dell’approccio metodologico alla malattia e per conseguenza della terapia11. Se il progetto culturale procederà in tale direzione non sarebbe più sufficiente definire tale medicina come “integrata” o “integrativa” poichè di fatto si tratterebbe di una nuova medicina frutto dell’alleanza tra pensieri diversi sostenuti in origine da differenti paradigmi confluiti in un approccio metodologico totalmente rinnovato. Con la proposta del presente manifesto ci auguriamo di aver suggerito uno strumento che possa essere utile allo sviluppo del pensiero medico nella direzione di una Nuova Medicina.

Bibliografia

  1. http://nccam.nih.gov/health/whatiscam/#definingcam.
  2. L. Rees, A. Well .Integrated medicine. BMJ 2001; 322 ;119-120.
  3. V.Maizes, D.Rakel, C.Niemiec. Integrative medicine and patient-centered care. Explore 2009; 5:277-289.
  4. D. Hollenberg Uncharted ground: Patterns of professional interaction among complementary/alternative and biomedical practitioners in integrative health care settings. Social Science & Medicine 62 (2006) 731-744.
  5. M.M.Cohen Cam practitioners and “regular” doctors: is integration possible? MJA 2004; 180 (12): 645-646.
  6. C. Zollman, A. Vickers ABC of complementary medicine. BMJ 1999;. 319; 693-696.
  7. www.biomedicalcentral.com/1472-6882/8/32.
  8. R. Bell, O.Casper, G.Scwartz, K.Grant, T.Gaudet, D.Rychener, V.Maizes, A. Weil. Integrative medicine and systemic outcomes research. Arch Intern Med 2002; 162 133-140.
  9. C.A Schroeder, L. Likkel. Integrative health care: the revolution is upon us. Public Health Nursing 1999; 16; 233-234.
  10. Ivan Cavicchi Medicina e sanità. Snodi cruciali. Dedalo, 2010.
  11. Guido Giarelli. Medicine non convenzionali e pluralismo sanitario. Prospettive e ambivalenze della medicina integrata. Franco Angeli, 2005.

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