di Gino Santini, da “Omeopatia33” del 13 settembre 2024
Pensate se, a scuola, della grammatica italiana un giorno dal Ministero arrivasse l’ordine di studiare solo nomi, verbi e aggettivi, lasciando fuori avverbi e congiuntivi perchè ritenuti arbitrariamente inutili: il risultato sarà una lingua molto elementare, sicuramente comoda perchè facile da studiare e da diffondere, ma priva della capacità di descrivere elementi complessi e senza il colore che fortunatamente la contraddistingue. In ambito accademico, purtroppo, sta accadendo proprio questo fenomeno. E non è un caso che, nella realtà del dibattito scientifico, i sostenitori anti-omeopatici spesso sono anche gli stessi che sostengono l’inutilità del liceo classico rispetto allo scientifico, come se il greco e il latino fossero i primi responsabili di quella rigidità mentale che, al contrario, contribuiscono a rendere una mente più elastica e fertile nei processi di apprendimento. Proprio come la cultura della formazione non può prescindere da un percorso che deve attingere a tutte le fonti, quella medico-scientifica non può permettersi di chiudersi nell’angolo dell’EBM, solida realtà della gestione del caso acuto ma non onnipotente strategia taumaturgica, che nel suo omogeneizzare gruppi di pazienti tralascia l’approfondimento dell’individuo e di una vasta area di complessità che prende vita nel momento in cui la patologia si cronicizza. Da questo punto di vista l’approccio omeopatico costituisce un’ottima opportunità di approfondimento, soprattutto se arricchito dalla conoscenza della biotipologia costituzionale.
Lo stesso rischio di blindatura mentale, attualmente, è presente nel campo minato delle pubblicazioni scientifiche; la voce grossa in questo settore ormai la fanno le riviste che portano acqua al mulino della scientificità più rigida, come solo in parte è giusto che sia, declassando aprioristicamente a livello di carta straccia i lavori che osano sbandierare, anche se solo tra le righe, la parola “omeopatia”. Con la stessa arbitrarietà dell’esempio ministeriale di cui sopra, si decide quindi l’inutilità del lavoro di ricercatori che, coraggiosamente e in modo lungimirante, decidono di spendere i loro sforzi nello studio della complessità dell’individuo e delle conseguenze dei processi di adattamento ambientale che costituiscono la base delle patologie croniche. Le drammatiche macerie di questo antagonismo scientifico, che non ha motivo di essere e che ci auguriamo si converta al più presto in una sinergia di integrazione, purtroppo si scontano a carico dall’anello più debole della catena, il paziente. Urge quindi un cambiamento di tendenza che, però, trova ancora molti ostacoli.
Intanto la dimensione “social” in cui ci troviamo immersi: se da un lato ha permesso di illuminare vaste aree di utilizzatori di Medicina Integrata, non ha mai coltivato quel dialogo pubblico e aperto che in altri campi, l’informatica su tutti, ha permesso una crescita importante e a tratti esaltante. Diretta conseguenza di tutto ciò è l’incapacità degli operatori sanitari (con gli omeopati in prima fila) di mettersi in gioco, trovando molto più comodo subire passivamente le richieste di partecipazione attiva al dibattito di chi, Siomi in primis, ha sempre cercato di stimolare un confronto produttivo. Anche le aziende del settore, pur ritrovandosi tra le mani qualche attenuante pandemica e con rare eccezioni, non riescono/vogliono abbattere questo muro di incomunicabilità, lasciando il lavoro sporco alle Società Scientifiche che fanno quello che possono con il poco che hanno a disposizione.
Alla fine di questo stucchevole gioco delle parti, tutto rimane come era: con gli scettici dell’omeopatia che rispolverano saltuariamente argomentazioni trite e di scarsa scientificità, convinti di risolvere tutto con l’EBM; con l’Accademia sempre più orientata verso una formazione chiusa e limitata; con le aziende che si accontentano di ricavi anche loro “omeopatici”, per cui sempre più orientate verso il mercato degli integratori, che sembra essere caratterizzato da un futuro più promettente. Ultimi ma non ultimi, gli stessi omeopati, spesso convinti che con l’omeopatia si possa risolvere tutto e che assistono immobili alla loro decadenza, come un gruppo molto eterogeneo di iguana immobili e dallo sguardo catatonico, incapaci di rendersi conto che, alle spalle della loro generazione, c’è un fuoco che si sta spegnendo senza divampare.
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