di Angela Marchese – Pubblicato su “DueRighe” il 21 aprile 2000 – LINK
Le giornate si volatilizzano, il tempo scorre più o meno inesorabilmente: per taluni si dilata e per altri si restringe. Ogni secondo che passa infruttuoso produce morbilità e mortalità.
Sono trascorse sei settimane dall’annuncio del lock-down e nonostante qualche miglioramento, sul fronte ricoveri Covid e terapie intensive, tutti gli altri parametri sembrano decrescere con ritmo ridicolmente sostenuto. In sei settimane si è drammaticamente modificato lo scenario della comprensione di come il nostro nemico abbia organizzato offensiva e controffensiva. Si è compresa meglio la patogenesi degli aggravamenti e dell’ineluttabile passaggio rapido dalla fase 1 alla fase 3 della malattia. Le linee guida cinesi pubblicate sei settimane orsono parlavano già chiaramente, nostro malgrado, di una patologia non confinata al polmone ma a tutti gli apparati ad esso connessi. Pertanto, considerarlo un nemico respiratorio è stato un errore grossolano per il mondo intero. Abbiamo assistito a parecchi talk show di scienziati e politici che hanno affermato tutto e il contrario di tutto, senza avere il buon senso di tacere o di dubitare di fronte all’”ignoto”.
Il dubbio è un ottimo elemento contemplativo, al quale, però, deve seguire un’azione rapida e prorompente senza trascurare i più piccoli particolari. Il primo errore è stato quello di non aver letto, con attenzione, le Linee Guida cinesi e non averle minimamente implementate, in qualità e qualità.
Nella versione 7, delle stesse linee guida, pubblicata il 03/03/2020, venivano evidenziati alcuni indici di laboratorio che tendevano a modificarsi nei casi di Covid-19: la maggior parte dei pazienti, secondo il rapporto di marzo 2020, evidenziava un aumento delle transaminasi, LDH, CPK, e mioglobina e nei casi più gravi un aumento della troponina sierica, insieme all’incremento degli indici di flogosi (PCR e VES). Nei casi più avanzati si riscontrava un aumento del D-dimero e della Interleuchina 6.
Le principali terapie farmacologiche, suggerite dalle Linee Guida della sanità cinese consistevano in clorochina, interferone alfa, lopinavir/ritonavir, ribavirina, idrossiclorochina, umifenovir. Nei casi in cui si evinceva un aumento dell’interleuchina 6 è stato fortemente raccomandato l’impiego del tocilizumab.
I clinici cinesi hanno relegato l’impiego dei cortisonici in casi estremi e per breve periodo, in quanto gli stessi sono stati ritenuti, in un primo periodo, insieme all’antibioticoterapia, immunosoppressori. Le linee guida si soffermavano anche sugli strumenti terapeutici per controllare l’ipossiemia; in prima istanza è stata consigliata l’ossigenoterapia di base o ad alti flussi, a seguire la ventilazione meccanica non invasiva (CPAP) e in estrema ratio, la ventilazione meccanica invasiva, a patto che venisse somministrata con volume corrente (VC) molto basso, pressione di plateau inferiore a 30 cm H2O e PEEP (Pressione Positiva di Fine Espirazione) a gradienti molto alti, tutto ciò, allo scopo di ridurre l’inevitabile danno polmonare da ventilazione, in un polmone già invaso da essudato.
Il secondo errore è stato quello di istituire tavoli di lavoro mono o pauci disciplinari.
Il terzo è stato quello di divulgare il bollettino quotidiano di guerra, allo scopo di terrorizzare la popolazione che, al contrario delle nostre aspettative, ha mostrato più intelligenza e responsabilità di chi ci ha diretto. Il quarto errore è stato quello di sottovalutare l’intelligenza e la dignità di una classe di persone colte, istruite e ben pensanti a cui si è dato in pasto, in forma indiscriminatamente plebea, lo slogan “io resto a casa”.
La logica dell’R0 è uno strumento molto meno plebeo e ben comprensibile ai più, tant’è che la Merkel ne ha fatto un ampio uso divulgativo, per ottenere consensi, di aderenza al lockdown, e non solo. La logica di spaventare la popolazione con soli numeri e senza spiegazioni, è al limite del totalitarismo: di contro la logica di perseguire sperimentazioni di farmaci da parte dell’AIFA, ad ogni suggerimento di controtendenza, seppur apparentemente passibile di ingenuità e populismo, è risultato utile, in quanto molti farmaci oggi utilizzati per la fase 1, 2 e 3 nascono proprio dalle sedicenti fake news. Non ultimo l’utilizzo dell’eparina a basso peso molecolare, ritenuta una fake news, da parte di un importante virologo di fama nazionale, che da circa quindici giorni, presente nei protocolli della fase 3, e non solo.
Tra gli errori pregressi, annoveriamo la delegittimazione dei medici di Medicina Generale e dei pediatri di Libera Scelta, ai quali era consentito gestire il paziente solo parzialmente, allo scopo di ottemperare ai piani di rientro. A questi professionisti, per anni abbiamo tolto la gioia di utilizzare il fonendoscopio, mettendogli tra le mani digitalizzazione e modulistica. Con quali risultati? E l’errore più grave, che si sta commettendo ora, è legittimarli a svolgere azioni compensative, che non possono essere svolte dagli Ospedali. Pur non volendo santificare nessuno – i professionisti della sanità familiare – che in passato hanno mostrato scarsa aderenza alle regole e direttive dei Distretti Sanitari mi sento oggi di asserire che non possiamo mandarli in guerra, senza elmetto e con armi spuntate.
Alcune Regioni paventano l’opportunità di potenziare la capacità decisionale dei MMG, lasciandogli la scelta di eseguire, o meno, il tampone, ma, per il momento a questi medici è richiesto di effettuare sorveglianza attiva e passiva, e con l’ultimo decreto Regionale, anche di prescrivere clorochina e idrossi-clorochina, ma non gli antivirali, appannaggio dei soli specialisti infettivologi, come sancito, almeno sulla carta, dalla Regione Lazio.
Ma entriamo nel merito del Decreto, e scopriremo come un apparente, ben declinato sistema di disposizioni, fatto sicuramente da un diligente amministrativo, guidato da clinici, presenti una profonda contraddizione in essere.
Infatti, le disposizioni del 03/04/2020, su indirizzo dell’AIFA e con nullaosta della Commissione Tenico-Scientifica, pubblicate in Gazzetta ufficiale il 06/04/2020, da parte della Direzione Regionale Salute ed Integrazione Socio-Sanitaria Area Farmaci e Dispostivi, individuano i Farmaci da utilizzare in caso di Covid, le modalità di somministrazione e gli attori, con tanto di modulistica allegata. I farmaci da utilizzare sono quindi il paracetamolo, la clorochina, l’idrossiclorochina e l’opinavir/ritonavir. Seppur la nota presenti una dettagliata enucleazione di criteri e di applicazione degli stessi, il problema che la rende risibile è la mancata aderenza alla realtà.
Infatti i pazienti nelle tre stadiazioni enunciate presentano, sì, un profilo sintomatologico dettagliato con tre opzioni terapeutiche, commensurate allo stadio di malattia; peccato che il sintomo febbre, unitamente all’altro corredo sintomatologico, che fa da spartiacque tra, chi deve ricevere o meno la terapia, non può prescindere dalla “positività del tampone”.
Quali pazienti, fra il terzo ed il quinto giorno di esordio della sintomatologia riceve la risposta del tampone? In genere, il tampone viene eseguito, dopo estenuanti richieste da parte dell’assistito e del MMG, non prima di dieci giorni dall’inizio dei sintomi e con refertazione dopo ulteriori 24/48 ore.
Quindi a chi è riservato il diritto di essere curato a domicilio con farmaci più specifici del paracetamolo? Sembra che tale diritto sia negato alla stragrande maggioranza della popolazione. Quindi, prima di sentenziare, cara Regione Lazio, guarda quante munizioni hai, in canna. Inoltre, siamo troppo poveri e troppo commissariati per permetterci il remdesivir, farmaco messo a punto per l’Ebola, attualmente sperimentato in altri paesi. Di contro, con mia grande sorpresa e grande apprezzamento, apprendo che l’AIFA ha autorizzato la sperimentazione della colchicina, farmaco antico e a basso costo.
La demonizzazione della visione ospedalocentrica e l’esaltazione sublimata della medicina del territorio oggi ci conferma il fallimento (nonostante le Centrali
Operative, i Piani Assistenziali Individuale, le Case della Salute, l’Assistenza Cure Primarie, la Medicina di Continuità Assistenziale e via dicendo). Questa poteva essere la grande occasione per dimostrare che l’apparato territoriale presentasse una trama di percorsi interconnessi, che avrebbe dato risposta alla fase 1 e 2 della malattia da
Covid-19, senza perdere essudato e sangue dalla trama: e in questa affermazione rientra la variabile tempo. Perché è così importante questa variabile? Perché ogni attimo perso, senza diagnosi e cura, può risultare fatale.
I pazienti che arrivano in fase 3, presso gli ospedali sono nella stragrande maggioranza destinati a morire. Seppur gli interventi in fase 1 e 2 effettuati a domicilio rappresentino una prevenzione secondaria, vanno attuati con la massima tempestività possibile e non soltanto, con la Centrale operativa di sorveglianza telefonica. È quindi necessario con tutte le dovute accortezze e i dispositivi (DPI), visitare il paziente a domicilio, effettuare tempestivamente la diagnosi e qualora non fosse possibile, mettere in atto una terapia ex audiuvantibus, già dalla prima fase dei sintomi. Vorrei ricordare che il sintomo primario del viraggio in fase 2 e 3 è la dispnea e l’ipossiemia a cui sottendono, in prima battuta una polmonite interstiziale, ma il passaggio all’irreversibilità è fortemente correlato ad embolia polmonare o trombo-embolie disseminate (CID, coagulopatia intravasale disseminata). Il virus attacca l’epitelio endoteliale favorendo l’instaurarsi di una piccola cicatrice, che produce un’abnorme risposta auto-infiammatoria sistemica, soprattutto nei casi di incremento del D-Dimero e del IL 6. Questo significa che il tempo è tutto: prima interveniamo sulla risposta auto-infiammatoria e immunomodulante e prima evitiamo la fase 2 e 3 della malattia.
Per usufruire della cura ad oggi, è ancora necessario essere ospedalizzati, in quanto i pazienti, sospetti o Covid positivi, non stanno ricevendo alcuna assistenza e farmaci a domicilio, nonostante il Decreto. Ma per essere ospedalizzati è necessario avere dispnea (secondo le Linee Guida), quindi, essere già nella fase di irreversibilità della malattia (estrema ratio). Per questo il tempo è importante, come la visita e la terapia a domicilio.
Perché le intuizioni di molti medici e clinici sono state ignorate? Alcuni errori commessi quattro settimane fa, come la ventilazione indiscriminata (senza tener presente i gradienti di compliance polmonare e gli effetti iatrogeni di una ventilazione, dentro un sacchetto pieno di essudato), sono effettivamente plausibili e commisurati all’allora emergenza e surrealità. Ma, non intervenire oggi con i pochi – ma certi strumenti – a domicilio è un crimine contro l’umanità.
A parità di condizioni, di incidenza e prevalenza della Sars-Covid-2, politiche sanitarie tempestive e lungimiranti, hanno dato risultati completamente opposti su morbilità e mortalità. Pertanto, mi appello al buon senso dei clinici che “sussurrano ai politici” di non prorogare il lockdown, bensì di investire risorse, o meglio, rimodulare quelle esistenti sul territorio, anche con l’impiego delle Forze Armate – allo scopo di fornire una risposta di prevenzione secondaria in tutti i casi della fase 1. Per fare ciò non servono troppe risorse o troppi decreti, a cui siamo stati abituati in questi ultimi tempi: serve solo una ricognizione capillare delle risorse, una direttiva chiara e semplice ai medici di Medicina Generale, con contestuale gratificazione economica, parificandoli, insieme agli ospedalieri, a militari in missione di guerra, (non l’elemosina delle 100 euro lorde).
Se non fosse per quella incondizionata solidarietà, abnegazione, e sfumata tendenza al martirio – che contraddistingue la classe medica – la irresponsabile classe politica non avrebbe ottenuto la trincea e la prima linea di soccorso che ha eroicamente combattuto contro la pandemia. E intanto il tempo scorre inesorabile.
Il sistema sanità, in tempo di pace è come il sistema economico, che si satura con il rapporto domanda/offerta, quindi più aumenta l’offerta più si innalza la domanda. Ma in tempo di pace il bisogno è ingenerato, anche da futili meccanismi che prescindono dalle reali necessità. In tempo di guerra, come quello che stiamo vivendo, il bisogno sanitario non è generato da meccanismi economici o estetici, bensì dalla necessità di sopravvivenza e quindi un’oculata e tempestiva analisi della domanda/offerta deve subire rimodulazioni continue elastiche e lungimiranti, per non ritrovarci con una eccedenza di terapie intensive/post-intensive ed il baratro presso il domicilio del paziente, dove invece si combatte la più subdola ed estenuante delle battaglie. Speriamo l’ultima.
Quando sento discorsi del tipo, che la fase di ritorno potrà essere peggiore della prima, annuisco e sorrido, ritenendo l’affermazione una offesa alla nostra intelligenza. A cosa sarebbe valsa l’esperienza? A cosa dovrebbero servire le app di tracciamento, i tamponi e i kit sierologici che dovremmo effettuare a tappeto su tutta la popolazione? Se riusciamo a porre in essere queste misure, ma con tanto pragmatismo e pochi Decreti Paraspalle, l’eventuale contagio di ritorno non dovrebbe costringerci, nuovamente, al lockdown.
Infine vorrei concludere con alcune considerazioni sul vaccino. Se da una parte l’immunità di gregge sembra un improponibile miraggio, visto che questa condizione sembra realizzarsi solo se il 70% della popolazione viene a contatto con il virus, ed esistono ragionevoli dubbi sull’immunità permanente, una volta guariti, l’unica via di uscita, a parte la prevenzione secondaria, alla quale ho dedicato parte di questo scritto, sembrerebbe il vaccino.
Lo stesso vaccino comunque potrebbe non dare un’immunità permanente, come e quanto, si vocifera sulla malattia: ma a causa delle tre sperimentazioni in vitro, animale e uomo dovremmo attendere, circa, due anni.
Ci viene in aiuto una proposta innovativa grazie ad partnership fra un Istituto italiano e l’Oxford University, dove ciascuno metterà a disposizione il proprio knowhow.
La sperimentazione consiste nell’introdurre all’interno di un comune Adenovirus, già testato ed innocuo per l’uomo, lo spike della proteina del Covid-19. Questa opportunità ridurrebbe sensibilmente i tempi.
Dopo la sconvolgente dichiarazione del premio Nobel della Medicina, professor Luc Montagnier, nella quale egli stesso conferma che il Covid-19 proviene da un laboratorio, dove si stava studiando il vaccino dell’HIV, le prospettive sembrano cambiare scenario.
Lo scienziato afferma che all’interno delle sequenze del Coronavirus sono state volutamente introdotte sequenze genomiche, seppur corte, del virus dell’AIDS; e aggiunge anche che questo tipo di virus ha vita corta, in quanto in natura, tutto tende a tornare in equilibrio, tanto più la contestuale convivenza fra microorganismi, forzatamente condannati a coesistere.
In qualità di clinico, ritengo che il minimo comun denominatore fra pazienti affetti da Covid-19 e HIV sia proprio la Polmonite Interstiziale Bilaterale, quindi l’ipotesi del Premio Nobel Montagnier, potrebbe essere foriera di un percorso di ricerca efficace per il vaccino.
Nel frattempo, le politiche sanitarie devono, necessariamente modificare i paradigmi: la grande scommessa, per il nostro paese, è quella di rimodulare le riaperture, tenendo presenti gli ammortizzatori sanitari e la capacità di prevedere e prevenire la saturazione del sistema, ma soprattutto quella di prevenire la fase 2 e 3 di questa inesorabile pandemia, anche con diagnostica di laboratorio, prima che sia troppo tardi.
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