di Luigi Turinese, da “Generiamo Salute” – LINK
Ciascuno di noi si sente interpellato di fronte al forte rimaneggiamento sociale in cui ci ha spinto la combinazione tra pandemia e misure messe in atto per contrastarla. Misure non sempre condotte all’insegna del buon senso e della razionalità, benché sostenute e incoraggiate dalla “scienza”.
Lo sgretolarsi delle certezze
La perdita improvvisa delle certezze ha generato un’ansia securitaria responsabile a sua volta di comportamenti intrisi di paura e sospetto. L’umanità globalizzata è arrivata impreparata al confronto con il rischio anche perché, da troppo tempo educata alla rimozione della mortalità, ha sviluppato oramai un’intolleranza per i limiti. Come mette bene in evidenza il sociologo Franco Crespi in un recentissimo scritto intitolato “Vulnerabilità e senso del limite: per una nuova modernità”, i limiti più vistosi e meno tollerati riguardano il sapere – nella fattispecie il sapere medico – e la capacità di controllo. Così, di fronte all’incontrollabile – e che cosa c’è di meno controllabile di un’entità biologica meno visibile di un batterio? – le nostre certezze si sgretolano.
Safe space
Nel 2018 Hykel Hosni, Professore di Logica e Filosofia della Scienza a Milano, ha pubblicato per l’Editore Carocci un saggio molto interessante sin dal titolo (“Probabilità. Come smettere di preoccuparsi e iniziare ad amare l’incertezza”), nel quale, a partire da una disamina della teoria della probabilità in ambito tecnico-scientifico, arriva a proporre una cultura dell’incertezza. A dire il vero, al momento vedo prevalere tutt’altro, ovvero l’utopia del “rischio zero”, figlia di quel prodotto della cultura del “politicamente corretto” che è l’ossessione dello “spazio sicuro”. Nato opportunamente per dare protezione e sostegno alle minoranze, il safe space ha finito non di rado per essere usato in modo difensivo e paranoico: nel momento infatti in cui circoscrivo uno spazio sicuro, lo spazio intorno si fa insicuro e meritevole di sospetto. “Tutto ciò che è nascosto è pericoloso […] e richiede scrutinio continuo e ipervigilanza”, scrive James Hillman nel suo saggio “Sulla paranoia” (1985), (in “La vana fuga dagli dei”, Adelphi, 1991,), auspicando viceversa “dubbio […] nei confronti della propria certezza, invece che sospetto nei confronti dell’altro”.
Il cittadino difronte ai DPCM
Seguendo la linea tracciata nel precedente articolo, “Di virus, di morte e altre sciocchezze”, utilizzo il pensiero dialettico, non prendendo una posizione polemica nei confronti del lockdown ma mettendone a nudo l’unilateralità. Le autorità hanno sposato per larga parte una visione ossessivo-fobica, probabilmente interpretando il sentimento dominante: una volta presa questa strada, si sono privilegiate le opinioni dei virologi più allarmisti e la maggioranza ha preferito obbedire agli infantilizzanti proclami del capo, preferendo la regressione in una dimensione passiva piuttosto che un’assunzione di responsabilità. Uno degli psicoanalisti italiani più originali e dimenticati è stato Elvio Fachinelli (1928-1989), il cui volume “La freccia ferma”, pubblicato da Adelphi nel 1992 ma scritto nel 1979, contiene una miniera di passi utili a rinforzare le presenti riflessioni: ne farò largo uso nelle righe che seguiranno. La cosa è tanto più sbalorditiva se si pensa che si tratta di un saggio di oltre quarant’anni fa imperniato su di un’interpretazione assai feconda di tre casi di nevrosi ossessivo-fobica, una condizione clinica che persegue fantasmaticamente l’obiettivo di negare la morte. Il sottotitolo è significativamente Tre tentativi di annullare il tempo. “Esiste un legame di comunicazione reciproca che vede, da un lato, un essere debole, fragile, incerto e dall’altra una figura di cui il primo ha stretto bisogno e da cui dipende, dotata ai suoi occhi di caratteristiche di onnipotenza”. Lo scienziato-mago, di cui l’autorità politica diventa il megafono, possiede i segreti del rituale capace di dare scacco alla morte. “Si costituisce in questo modo un corpo di norme spietate, un sinistro e grottesco monumento legislativo: ordinanze e proibizioni, attività permesse e vietate […]. Di fronte ad esso, un suddito”. Ditemi se non è il ritratto fedele del cittadino di fronte al profluvio di DPCM con annesse autocertificazioni (lo strumento più vicino al libretto di giustificazioni scolastico: siamo sempre, come si vede, nell’ambito della regressione), ispirati alle paure dei virologi più savonaroliani.
Quarantena spaziale e quarantena temporale
Tali paure, ansiogene a loro volta, sono dettate dal timore di perdere il controllo: di fatto, traducono una sottostante angoscia di morte, per vincere la quale si mette in scena il confinamento spazio-temporale e istigano i cittadini reclusi alla delazione di eventuali trasgressori, i cosiddetti “furbetti”. Si noti il persistere di un linguaggio pedagogico-punitivo, nonché l’incoraggiamento di nuclei paranoici. La quarantena non è soltanto spaziale ma anche temporale: nell’isolamento, difatti, le giornate scorrono tutte uguali, perseguendo l’ideale di tempo fermo evocato nel sottotitolo del libro di Fachinelli. Tra i sintomi salienti dei pazienti ossessivi spiccano i rituali, aventi lo scopo di “congelare” l’ansia. Particolarmente frequenti sono i cerimoniali di purificazione. Pensiamoci bene: tra le parole-chiave di questa pandemia non vi sono forse igienizzazione e sanificazione? La promessa del vaccino è utilizzata come strumento rituale di annullamento dell’incertezza e della precarietà dell’essere. Anche se la tipologia del virus dovrebbe imporre cautela, il mantra ricorrente è “fino a quando non ci sarà il vaccino”. Prima, è sottinteso, non si potrà riprendere una vita “normale”. Badate bene, non sono affatto un no-vax; ma cerco di utilizzare il pensiero indirizzato e non gli stilemi del pensiero magico. “La magia intende ripristinare un ordine turbato”: chiaro, no? E che cosa fa l’ossessivo, oltre che purificarsi?
Non rinunciare all’esercizio del libero pensiero
“Incidenti, malattie, morte, sono eventi che si irradiano, che minacciano di colpire tutto il gruppo: di qui le misure di distanziamento radicale messe in atto”. Sì, Fachinelli parla proprio di distanziamento. “Il primo passo su questa strada è spesso la creazione di zone o esseri (ecco qui gli “untori”, n.d.r.) o situazioni da evitare, da cui distanziarsi”. Si realizza così “la salvaguardia da quelle angosce persecutorie e depressive che tallonano il soggetto”. Potrei continuare a lungo ma spero sia chiaro l’intento del mio scritto. Non intendo negare la pericolosità del covid-19: usiamo mascherine, cautele igieniche e tutto quanto ci sembrerà utile; ma non abdichiamo all’esercizio del pensiero. Soprattutto, non illudiamoci che esistano rituali magici capaci di sottrarci al destino di vivere in una costitutiva condizione di precarietà. Il che non ci impedisce di ammirare con appassionata partecipazione la “straziante, meravigliosa bellezza del creato” (cit. P. P. Pasolini, “Che cosa sono le nuvole”).
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