di Paola Rispoli
Vorrei raccontarvi questo episodio perché riguarda un ospedale di Roma a me molto caro (vi è nata mia figlia), perché è un ospedale che ha una storia alle spalle che l’ha reso spesso protagonista in tanti momenti tragici che Roma ha conosciuto nel corso dei secoli ma, soprattutto, perché racconta di tre uomini, tre eroi oea dimenticati, che vorrei tutti conosceste.
Durante la seconda Guerra Mondiale a Roma ci fu una terribile epidemia di una malattia sconosciuta e pericolosa. Si chiamava morbo di K., aveva sintomi molto gravi ed era estremamente contagiosa, ma grazie all’intuizione di tre medici eccezionali (Giovanni Borromeo, Adriano Ossicini e Vittorio Sacerdoti) non ci fu nessuna vittima. Tutti i malati, messi in isolamento in un padiglione dell’Ospedale Fatebenefratelli, si salvarono miracolosamente e così anche i medici e infermieri, nonostante il morbo di K. fosse molto contagioso.
Iniziò tutto il 16 ottobre 1943, il “sabato nero” del ghetto di Roma, quando le SS fecero un orrendo rastrellamento costringendo 1024 persone, tra cui centinaia di bambini, a salire sui treni dell’orrore per andare a morire ad Auschwitz. Qualcuno però riuscì a evitare i nazisti e a salvarsi, cercando rifugio proprio sull’isola Tiberina dove il coraggioso dottor Borromeo, primario dell’ospedale, decise di ricoverarli tutti, quasi un centinaio. Ovviamente bisognava compilare una cartella clinica per questi pazienti speciali. E così i tre medici, in particolare Vittorio Sacerdoti (che in quanto ebreo era già stato vittima delle leggi razziali e lavorava sotto falso nome all’ospedale, protetto dal primario Borromeo), immaginarono una malattia orrenda, devastante e contagiosa, il Morbo di K., dove la K. indicava in realtà Kesselring, lo spietato ufficiale nazista, o secondo altre fonti, Kappler, il disumano persecutore di Roma.
I finti ricoverati furono messi tutti in un reparto speciale, in isolamento.La sera del 16 ottobre 1943, quando i nazisti arrivarono a perlustrare l’ospedale, trovarono i tre medici, Borromeo, Ossicini e Sacerdoti con delle mascherine sul volto, preoccupatissimi per lo scoppio di questa improvvisa e pericolosa epidemia. I nazisti allora pretesero di vedere tutte le cartelle cliniche, dato che c’era anche un medico tra loro, ma alla richiesta del dott. Borromeo di andare a visitare personalmente i malati, ebbero paura di questo terribile morbo di K. e preferirono andarsene. E così tutti i finti malati ricoverati in isolamento si salvarono dall’orrore nazista.
Ma la storia non finisce qui. Borromeo, Ossicini e Sacerdoti continuarono quotidianamente ad aiutare ebrei e partigiani. Installarono una radio ricetrasmittente clandestina negli scantinati dell’ospedale per restare in contatto con gli altri partigiani e con Radio Londra, dichiararono morti proprio per il morbo di K. i finti pazienti e procurarono loro documenti falsi per farli fuggire, esponendosi così a grandi rischi, in un triste momento storico in cui le delazioni ai tedeschi erano all’ordine del giorno e l’ospedale pullulava di spie.
Questi tre medici coraggiosi non arretrarono davanti all’orrore e alla paura perché, come non smetteva di raccontare nelle interviste dopo la guerra Adriano Ossicini: “Bisogna cercare di essere dalla parte giusta, sempre”.
Pietro Borromeo, figlio di Giovanni Borromeo ha raccontato questa storia nel libro: Il giusto che inventò il morbo di k. Fermento Editori, 2007.
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