L’omeopatia al punto di svolta

Andrea Dei, da “Omeopatia33” dell’11 ottobre 2024

L’omeopatia è in crisi, inutile nasconderlo. In una Lettera all’Editore su Homeopathy​1​ (Homeopathy at the turning point), apparsa online nelle scorse settimane, ho sostenuto questa tesi e spero di essermi sbagliato o per lo meno di essere contestato. Ma i fatti stanno parlando chiaro: il fatturato delle industrie dei prodotti omeopatici sta precipitando, le scuole sono deserte, la ricerca sta stagnando e molti scienziati eminenti hanno preso le distanze dalla disciplina. Ma soprattutto, come facevo notare anni fa su queste pagine, i giovani medici si guardano bene dall’adottare questa metodologia terapeutica perché è aliena alla loro cultura. Se si vanno a vedere i protocolli terapeutici delle varie cliniche di medicina integrata, ci si accorge che quasi nessuno prevede l’uso dell’omeopatia. Cosa è successo perché questo avvenisse? Perché una disciplina, che aveva raccolto un notevole successo nella società del benessere, è stata messa all’angolo? La risposta è semplice: la carenza di credibilità, malgrado il fatto che molti operatori siano dei medici eccellenti. Ma questo non basta.
L’omeopatia non è più una modalità terapeutica misteriosa, che si basava sulla libera interpretazione dei singoli. Da più di dieci anni si sa che essa è fondata sull’ormesi, anche se tale proposizione viene rifiutata dalla gran parte degli omeopati perché richiede l’esistenza di molecole. Questo non è tollerato da chi crede che l’informazione derivi dal solvente, anche se non sanno formulare una spiegazione del “Similia similibus curentur”, che l’ormesi spiega tranquillamente. Sulla diluizione poi meglio calare un velo pietoso. Inoltre tutti gli studi effettuati con le tecniche sofisticate, che la tecnologia ha messo a disposizione, mostrano che i rimedi omeopatici, compresi quelli altamente diluiti, contengono un numero rilevante, comparabile alle cellule del nostro organismo, di molecole di farmaco e non c’è bisogno di formulare teorie strane per spiegare l’ azione biologica del rimedio. Anche questo aspetto non è accettato dagli irriducibili che continuano a proporre ipotesi senza senso. Ma la realtà è ovvia e banale: un farmaco funziona se ci sono molecole del farmaco. Tutte le ipotesi alternative non hanno retto la verifica sperimentale. Quelli che postulavano informazioni elettromagnetiche sono stati messi a tacere dagli uffici brevetti, che gli hanno dato di cacciaballe semplicemente perché tali informazioni le vedevano solo loro. Taccio per carità umana sulle altre stupidaggini che sono state formulate senza lo straccio di una prova sperimentale, ma con un caveat: chi l’ha formulate non ha tenuto e non tiene conto della professione e della credibilità dei colleghi. E questo va condannato. Perché l’informazione non si limita più al Festival dell’umorismo, ma galoppa in giro per il mondo.
Il punto chiave tuttavia sta nel fatto che il medicinale omeopatico esiste come sistema nanoparticellare allo stato di diluizione per un concorso di motivi non facilmente prevedibili e che solo ora sono stati messi in luce. Ma questo non sposta la validità della disciplina. Un medico omeopata deve sapere solo che un rimedio può indurre un certo effetto su un certo paziente e non si preoccupa di sapere cosa c’è dentro. Se poi la diluizione reale è diversa da quella formale per un meccanismo che non conosce, non cambia nulla: l’importante è che il paziente tragga beneficio dall’assunzione di quel rimedio. È successo con l’aspirina e non c’è nulla di strano che lo stesso avvenga con l’omeopatia. Ma questo non è sufficiente per stabilire la credibilità di una disciplina che fondamentalmente si basa sull’autoguarigione, che viene facilitata e favorita dall’interferenza che le molecole del farmaco inducono su certi meccanismi biologici.
Il vero nocciolo del fallimento è stato quello di ritenere che l’omeopatia fosse un sistema olistico che non avesse bisogno di specifiche informazioni, come purtroppo è stato detto troppe volte con intimo compiacimento. Questo ha comportato il rifiuto della ricerca scientifica sia da parte dei medici, che hanno ritenuto che non c’era nulla da dimostrare, che delle industrie, che si son guardate bene dal programmare costosi programmi di ricerca. E nel mondo di oggi chi adotta questo punto di vista mette in discussione la ragione della propria esistenza. In molti casi quello che si sa oggi del medicinale omeopatico è stato fatto a dispetto delle industrie (non è il mio caso), che temevano un aggravio dei costi e la scoperta che non tutti i rimedi fossero poi così efficaci. In altre parole il fallimento dell’omeopatia è stato causato dall’eccesso di autoreferenza, dalla natura parolaia di alcuni, dalla mancanza di comunicazione appropriata e dalla presunzione che il metodo olistico avesse un carattere emergente, ovvero un qualcosa che fosse superiore alla somma delle parti che lo costituivano. Senza però stare a determinare quali fossero le proprietà delle parti. E per uscirne non c’è che una soluzione.

  1. 1.
    Dei A. Homeopathy at a Turning Point. Homeopathy. Published online September 20, 2024. doi:10.1055/s-0044-1789000

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