di Maurizio Bazzucchi, internista
L’EBM o Medicina Basata sulle Evidenze prevede una serie di strumenti, regole e tecniche che si basano sull’analisi della letteratura scientifica che adottano principi epidemiologici e statistici, allo scopo di fornire un metodo che, negli intenti dei suoi fautori, è atto a fornire un mezzo “oggettivo” che possa fare da guida nelle decisioni cliniche e nelle linee guida (algoritmi diagnostici e terapeutici).
L’ “imperativo morale” di cui sopra si basa sulla premessa, arbitraria e preanalitica, che la conoscenza generata attraverso questa metodologia possa assurgere ad una sorta di “oggettività” ed essere, quindi, più “scientifica”, in quanto esente da distorsioni e pregiudizi dell’osservatore.
Questo ha generato una aberrazione concettuale, molto più pericolosa, ossia che l’EBM dovesse essere l’unico criterio veritiero per ciò che riguarda la formazione del sapere medico e, di conseguenza per le cure della salute tout court.
L’EBM non è riuscita ad essere al servizio del malato, è diventato un asettico ed acefalo strumento nelle mani di tecnocrati, siano essi amministratori, nel tentativo di applicare le evidenze come strumento di appropriatezza per ridurre i costi, ovvero le industrie con la sponsorizzazione di trial clinici costruiti per produrre evidenze a favore dei loro prodotti commerciali (farmaci o dispositivi), o, infine, i medici divenuti funzionari della tecnica e deprivati di qualsiasi e di pensiero critico.
Come scrive il famoso sociologo Cavicchi in un suo recente saggio sulla EBM che invito tutti i Colleghi a leggere: oggi abbiamo bisogno di una pedagogia medica per l’uso adeguato delle evidenze per aiutare i medici nelle loro scelte e decisioni difficili quindi per farne, come dice Popper, non dei custodi delle verità ma degli esperti in fallacità. Ovvero di un medico che conosca la complessità e la sappia governare, che conosca tutte le evidenze possibili, ma che ne sappia riconoscere tutti i limiti intrinseci, soprattutto quelli legati alla trasferibilità sulla complessità della persona malata.
Sempre secondo Popper, non si tratta di confermare delle evidenze, ma di verificarne la loro falsificabilità a seguito della scoperta di fatti empirici che le rimettano in discussione. Il progresso, non consiste nell’accumulo di evidenze, bensì nella progressiva eliminazione dei loro errori. Il modello interpretativo della scienza deve quindi basarsi sull’errore”; insomma un Medico in un certo senso Eretico (dal greco: colui che sceglie) che partendo dalle complessità usa tutte le premesse (della malattia e del malato) per poter scegliere.
Attualmente la tecnica governa il mondo ed il medico è ridotto a funzionario dei suoi apparati. La struttura della tecnica è la forma più alta di razionalità mai raggiunta e tutto quello che è apparentemente irrazionale come l’istinto clinico o l’intuizione è da respingere, quasi fosse blasfemia.
In altre parole la critica non è rivolta all’EBM, ma al suo utilizzo perchè la medicina non è scienza esatta. L’EBM tende a considerare la malattia un fatto avulso dal contesto che essa debba essere, sempre e comunque, “oggettivabile” mediante dati quantitativi. Come se adottando questa metodologia si potesse metter fine ai dubbi ed alle incertezze proprie delle “scienze della salute”, e si potesse, pertanto, trasformarle in “scienze normali”, tramite l’adozione di un metodo “algoritmico” che possa cancellare la soggettività del Medico dalla pratica clinica interpretandola come“imperfezione”, ignorando la complessità dell’essere umano nella sua interazione con la malattia e col contesto sociale, economico, politico nel quale ci si trova ad agire. Inoltre, non esistono mai i dati in quanto tali ma la loro interpretazione, esiste la scelta preanalitica su quali dati cercare ed utilizzare, ma nessuna scelta preanalitica può essere “neutrale” o “oggettiva”, bensì è invariabilmente condizionatada molteplici variabili che fanno parte del contesto culturale e storico.
Quanto scritto non vuole significare che si debba rigettare l’EBM tout court: la pratica medica non può prescindere dalle evidenze, altrimenti sarebbe un confuso procedere ma neppure rinunciare ad un metodo soggettivo per verificarle. Se il dovere del medico è quello di perseguire il beneficio per il paziente con gli strumenti più adatti, la riflessione su questi ultimi non può partire da posizioni aprioristiche e ideologiche, che riconducano sempre e solo ad un unico metodo che si ritenga (fallacemente) corretto.A me sembra che a livello formativo Medico si si creata una divisione tra chi tenda a ridurre il medico a tecnico che applica pedissequamente ed esclusivamente un modus operandi fatto di algoritmi e procedure “preconfezionate”, analogamente ad una macchina che, dati determinati impulsi, giunga sempre alla stessa soluzione o esegua sempre gli stessi atti e chi ribadisca il predominio della costante verifica ragionata, scevra da precondizionamenti con adattamento del proprio sapere alla singolarità del malato.
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