di Andrea Dei, da “Omeopatia33” del 15 dicembre 2023
Nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi nel mondo” Galileo sostiene che un osservatore, una volta salito su una torre per ammirare il panorama, faccia prima a girare la testa a sinistra e a destra che aspettare che qualcuno gli giri il terreno e le colline che lo circondano mentre lui tiene la testa fissa e diritta. È la filosofia di base della rivoluzione scientifica che, teorizzata da Francis Bacon qualche decennio prima di Galileo, ha permesso una radicale evoluzione della condizione umana. Logicamente ci fu chi l’avversò perché il Concilio di Trento aveva fatto passare il messaggio che a decidere se quanto sostenuto da Galileo fosse giusto o no, doveva essere demandato a chi doveva salvaguardare il proprio potere. Questo per il semplice motivo che aveva deciso unilateralmente e convinto tutti gli altri di essere solo lui a poter interpretare ed esaudire il mandato inconfutabile dell’ Altissimo. D’altra parte, andava anche compreso, perché dall’alto del suo seggiolone pretendeva anche di insegnare al Caravaggio come dipingere e se qualcuno avesse osato pensarla in modo diverso da lui, era ampiamente giustificato il bruciarlo vivo, come successe a Giordano Bruno.
Nel campo dell’ omeopatia ancora oggi succede più o meno la stessa cosa e poco importa se il cielo della disciplina viene di conseguenza illuminato da un deprimente arcobaleno di grigi. Leggendo i resoconti dell’ ultimo convegno dell’ECH si apprende per esempio che un farmaco omeopatico funziona non perché sia stato trovato sperimentalmente che, come tutti i farmaci a partire dalla medicina egizia, come si evince dal papiro Edwin Smith del 1600 a.C., contiene un certo numero di molecole di un principio attivo (vedi i lavori di Bellare), ma al contrario si pontifica che le sue proprietà terapeutiche siano dovute ad uno “zot” di un qualche dio benevolente invocato a pagamento dal medico prescrittore. Per chi non ci credesse, c’è anche la inoppugnabile e delirante spiegazione quantistica (logicamente scritta con appropriati glifi), che, invocata opportunamente a sproposito, per alcuni omeopati giustifica anche la raccolta differenziata, anche se purtroppo non pensano che debba soprattutto riguardare le loro fantasie. Per non parlare dell’ormesi, che, adottata circa venti anni fa dalla SIOMI per giustificare il “Similia similibus curentur” che caratterizza la metodologia e combattuta con entusiasmo da una parte degli omeopati, va rifiutata ancora oggi per principio, primo perché aveva portato a candidare al Nobel il suo scopritore Hugo Schultz, che pensava di aver spiegato l’omeopatia, poi perché era stata sostenuta da Linn Boyd nel suo famosissimo “Il simile in medicina” dove auspicava l’esecrabile Medicina Integrata, e infine perché è stata introdotta in tutti i libri di farmacologia, che notoriamente, anche perché illuminati dalle sopramenzionate amene esternazioni, ce l’hanno con l’omeopatia. C’è da notare tuttavia che nel caso di Galileo non era ancora nato un Foucault che col suo pendolo dimostrasse nel 1851 che Galileo aveva ragione, a differenza di molti omeopati odierni che, ripeto, si pregiano di rifiutare l’evidenza sperimentale che altri mettono loro sotto il naso.
Peccato, perché più di due secoli di omeopatia rappresentano un patrimonio culturale di estrema rilevanza, che, se riletto opportunamente, potrebbe contribuire a riscrivere, potenziare e forse anche rivoluzionare la farmacologia del XXI secolo. Anche perché se non ci pensano gli omeopati, la medicina va avanti per conto suo, come tutte le espressioni dell’attività umana che si basano sull’ ampliamento della conoscenza sfruttando il progresso della possibilità di informazione, dal momento che informazione e conoscenza son due cose diverse. Infatti, mentre l’informazione è asettica e obbiettiva, la conoscenza è un complesso processo di apprendimento, di rivisitazione delle proprie credenze, di imitazione e di rielaborazione del significato di informazioni acquisite in precedenza anche in altri settori. Per questo motivo va salutato con entusiasmo il conferimento del prestigioso premio Stokinger a Edward Calabrese (University of Massachusetts) per i suoi studi sull’ormesi, che lui ha riscoperto dopo che la medicina ufficiale l’aveva marginalizzata per circa sessanta anni, più o meno come aveva fatto la Chiesa con il De Rerum Natura di Lucrezio, dal momento che negava l’immortalità dell’anima e quindi il potere della classe ecclesiastica.
L’ormesi, come tutti sanno, è una funzione adattativa e in pratica è l’equivalente biologico del principio di azione e reazione di Newton nella fisica classica e del principio di Le Chatelier in chimica. Poiché definisce la risposta di un sistema biologico in funzione dell’intensità di una perturbazione, come per esempio una collezione di molecole di un farmaco, dando origine a un effetto stimolatorio per un basso numero di molecole e a un effetto inibitorio per un alto numero di esse, l’accettazione dell’ ormesi è ritenuta costituire una rivoluzione nei campi della biologia, della tossicologia e della medicina. Nella motivazione del premio si sottolinea come essa abbia permesso sia la scoperta di nuovi farmaci che la loro sperimentazione clinica in alte e basse dosi, nonché la valutazione del rischio di danni per un organismo dovuti a effetti ambientali e della loro possibile prevenzione tramite un trattamento appropriato (ormesi precondizionante).
Nella motivazione non c’è scritto che Calabrese abbia dovuto rinunciare a sviluppare l’omeopatia per contrasti patenti con il gruppo di omeopati europei che non sopportavano l’idea di doversi affidare a un supporto sperimentale. A leggere questa motivazione mi sembra di ringiovanire perché la motivazione del premio somiglia tanto allo statuto della SIOMI scritto ventiquattro anni fa dai medici fondatori per giustificare il paradigma della Medicina Integrata. Me lo ricordo benissimo, perché apriva una prospettiva entusiasmante che lo sviluppo della ricerca scientifica ha poi giustificato, anche perché non era scritto in un linguaggio ieratico come il messaggio sulla stele di Rosetta che fu tradotto da Champollion. Anche se il linguaggio ieratico, che ricordo è la versione popolare dei geroglifici, nel campo dell’omeopatia continua a essere di gran moda.
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