di Andrea Dei, su “Omeopatia33” dell’11 maggio 2018
L’ormesi è un fenomeno che caratterizza la relazione dose-risposta di un sistema biologico in stato stazionario, giustificando l’effetto stimolatorio di un farmaco in bassa dose e l’effetto inibitorio dello stesso farmaco in alta dose. Questo fenomeno, ancorchè noto da più di un secolo, è stato ignorato per molti anni dalla farmacologia ufficiale, che tuttora preferisce affidarsi al modello della soglia di efficacia seguita dalla linearità dose-risposta, che è valido nell’ipotesi che il farmaco debba solo bloccare (inibire) un meccanismo biologico che è ritenuto essere la fonte dell’anomalia, giustificando una prassi operativa che alcuni, fra i quali lo scrivente, hanno sempre denominato “medicina degli anti”. In realtà l’ormesi, malgrado il suo carattere controintuitivo, è una legge biologica generale che si applica con successo in tutti i settori nei quali si definisce il comportamento di un organismo vivente (e quindi in stato stazionario) nella sua interazione con un agente esterno. Si parla comunemente di ormesi ormai in biologia vegetale, microbiologia, gerontologia, tossicologia e farmacologia. E’ singolare il fatto che la visione dell’omeopatia come farmacologia delle microdosi, e come tale regolata dall’ormesi, stenti ad essere adottata da buona parte degli omeopati, con lodevole eccezione della società (la Siomi, ndr) della quale il presente giornale è espressione. Resta il fatto che, al proposito, le proposte alternative di quegli altri siano comunemente rigettate a ragione dalla comunità scientifica.
Il fenomeno dell’ormesi si basa essenzialmente sulla sovracompensazione, caratteristico di un sistema che deve evolvere e come tale, oltre a neutralizzare l’ospite molesto, si deve preparare all’invasione. C’è tuttavia da notare come la gran parte degli studi si limiti a riportare semplicemente l’effetto (stimolazione o inibizione) in funzione del numero degli agenti perturbanti (per esempio, la concentrazione). Così facendo si viene a definirne il solo aspetto termodinamico, mentre poco è dato sapere della sua risposta temporale. Da un punto di vista farmacologico infatti poco si spiega ad esempio la risposta temporale a un vaccino, oppure il cosiddetto aggravamento terapeutico, che si osserva in seguito ai trattamenti omeopatici. Come più volte ho cercato di sottolineare nelle mie dissertazioni pubbliche sull’argomento, il diagramma di rappresentazione del fenomeno è più complesso prevedendo oltre all’asse X (concentrazione del farmaco) e l’asse Y (effetto), anche un asse Z perpendicolare che definisce la dimensione tempo. Questo aspetto è illustrato con dovizia in un lavoro di Ziphen Li di Shanghai su Chemosphere, che comprende anche Edward Calabrese, padre dell’ormesi, fra gli autori. Lo studio riguarda l’effetto in funzione della dose e del tempo sulla bioluminescenza di un batterio opportuno, l’Aliivibrio fischeri, una volta trattato con cinque diversi agenti antibatterici.
Gli autori sulla base dei dati raccolti suggeriscono che sia operativo un meccanismo di swinging seesaw (letteralmente “altalena”), che io ho tradotto in bilico oscillante, richiamando il gioco per bambini che si ritrova in molti giardini pubblici. Di fatto si suppone che i dati sperimentali siano dovuti all’interferenza di due curve, una di stimolazione e una di inibizione, e che a tutte le concentrazioni sia operativo lo stesso meccanismo. Il meccanismo citato, checché se ne dica, è oscuro: ha senso soltanto se si ammette che l’affinità per il recettore cellulare che determina la stimolazione sia molto più grande e che vi siano sul batterio diversi altri recettori di affinità minore che determinano l’inibizione. I risultati infine si spiegano se si ammette un meccanismo autocatalitico, cosa peraltro comune in molti processi biologici. Ma il lavoro resta molto interessante.
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